La Renzicrisi amica mia

È un po’ di tempo che in questo spazio non discutiamo di amicizia e in particolare dell’amicizia politica con la p di Prodi e di predatori, minuscola. Insomma quell’amicizia che uno strizza l’occhio e ci siamo capiti.

In questi giorni ci si è interrogati su cosa volesse Renzi da quest’ultima, si spera, avventura di governo, a cui partecipa dai tempi dell’altro stallo voluto dal secondo Matteo (Salvini), e quali fossero i motivi che hanno spinto un ex premier ad aprire una crisi nel momento storico più buio della Repubblica. In particolar modo ci si è chiesto come intendesse poi risolverla.

Partiamo da un punto fermo e abbastanza scontato: se apri una crisi togliendo i numeri ad una maggioranza di Governo, la prima reazione tra i parlamentari è, emulando un famoso meme che lo riguarda, lo shopping.

Inutile vociare ai quattro venti lo scandalo della compravendita degli onorevoli. È sempre successo e succederà ancora. La gente ha un prezzo e con un paese al collasso il prezzo è salato e addirittura può passare per giusto. Il buying and selling parlamentare infatti (lo sto facendo per i renziani che senza inglesismi fingono di non capire una conversazione), è una pratica notissima, persino giustificabile nel momento in cui le circostanze impongono alla nazione un certo senso di responsabilità. E sulla nozione di responsabilità ognuno può speculare quanto gli pare.

Dunque, cosa spera o sperava di ottenere Renzi con la sua Italia Viva?

Andiamo con ordine. Matteo lo conosciamo, è notorio quanto l’amor proprio spesso prenda il sopravvento su qualsiasi ragionamento alla base della sua azione; è un uomo vittima di sé stesso e della passione per la ribalta. Attenzione, la ribalta non la ribaltabile come un suo predecessore (n.d.r.).

Renzi, fotografato dalla rivista Chi, che porta alla domanda perché?

Il primo elemento evidente di questa storia sembrerebbe la vendetta, consumata in ragione di uno sgarro, che, badate bene, non è rivolto a Conte ma al Movimento 5 Stelle e, in seconda istanza, un tentativo di pubblicizzarsi. In ultimo, la futura nomina del Presidente della Repubblica.

Eliminato Conte con largo anticipo dalla scena infatti, evapora sostanzialmente la possibilità che lo stesso possa, a fine legislatura, costruire un partito dalle ceneri del Movimento. Un anno fuori dai riflettori pesa e peserebbe sul futuro politico di chiunque. Anche di uno che piace come piace Conte.

Diventare Premier e avere i riflettori di una crisi puntati addosso è, storicamente, dal punto di vista personale, una fortuna. Renzi questo, probabilmente, non l’ha mai accettato. Inoltre, una possibile nuova proposta rinvigorita dalla figura forte di Conte, ridurrebbe ancor di più la possibilità che il micro ecosistema associato Bonino-Calenda-Renzi, possa dire la propria al prossimo giro.

Nessuno poi, neppure uno come Cossiga e figuriamoci un uomo delle istituzioni come Mattarella, scioglierebbe in un momento come questo le Camere. Il paese andrebbe in fiamme e solo uno stupido potrebbe, dopo un anno di crisi, di restrizione economica e libertà, fermare la distribuzione di sostegni e risorse in favore della popolazione e delle imprese, per aspettare il voto o le decisioni di un commissario, a ridosso inoltre, del semestre bianco.

Quale idiota farebbe saltare la delicata tenuta sociale?

Renzi dunque, che stupido non è, sapeva bene che l’unico modo per uscire da un stallo, nessuno crede e può ancora credere alla nascita di un Governo 5stelle-Pd-Berlusconi-Europeisti, sarebbe stata e probabilmente sarà, il ritorno dei tecnici o come diciamo tra amici, il governo delle larghe intese e cioè dell’occhio strizzato.

Ecco lo scacco matto. Il famoso governo tecnico, l’ancora di una possibile salvezza. Il modo migliore per fingere di essere opposizione, il bastian contrario costretto dalla necessità. La possibilità di poter dire e fare di tutto dall’interno e poi, come si diceva una volta, agire perché ce lo chiede l’Europa.

Allora cosa succederà presto? Arriverà un contabile della democrazia, anonimo, di quelli senza ambizione (qualche nome è già uscito), che si assumerà il “peso” della responsabilità senza nulla a pretendere, anzi, col vantaggio di poter dire un giorno: “sono stato il Premier del mio paese”.

Crollato Conte, sfumata l’ipotesi di un nuovo polo, lasciati i guai e la ribalta grigia nelle mani di personaggi che non ambiscono, Renzi pensa infine di rientrare in scena, ripulito e forte del ruolo di oppositore. Un grande classico del metodo “renziano” (leggasi Letta, Bersani, Marino, Crocetta).

Alle prossime elezioni, tante solite supercazzole e chissà, magari una bella lista centrista con i reduci di Forza Italia, i combattenti Europeisti, gli Azionisti a sostengo di una coalizione che si costituirà dopo il voto, perché nessuno potrà mai avere una maggioranza assoluta con la legge elettorale vigente, con l’obiettivo di riuscire ad essere determinante sulla scelta del nuovo Presidente della Repubblica.

Anche questo, un film già visto: vi ricordate i 101 che sabotarono l’elezione di Prodi? Do you remember?

In questa fogna, l’unico che brinderà sarà quell’anonimo che porterà a casa un risultato incredibile per la propria vita, come accaduto con altri recenti illustri Premier, entrati nella storia senza un perché e, pensate un po’, ancora grazie all’ego smisurato di Renzi.

Ugo Forello, amico mio, sfrattato capogruppo

Io e ugo forello

Ugo Forello, attuale capogruppo del m5s in consiglio comunale nonché ex candidato Sindaco, è stato dimesso dal ruolo a Sala delle Lapidi, senza una preventiva riunione di partito (qui la notizia).

Questo è però quello che l’avvocato palermitano dichiara, passando poi al contrattacco e accusando l’area dei “dimaiani” d’ averlo estromesso dopo le parole da lui espresse, in favore dei giornalisti e della libertà di stampa e la presa di distanza dal Vice Premier e “Capo Politico” del movimento, successive all’assoluzione della Raggi (qui la notizia). E allora a me, che di questa storia “non me n’è può frega de meno”, tocca fare la parte del cattivo, regalandovi un profilo di Forello a tutto ex; ex leader di addiopizzo, dei grillini e di tanto altro ancora.

Ugo Forello, ricordiamolo, amico mio, come tradizione cinque stelle vuole, di nuova e vecchia generazione, pratica la politica del “va scupati ‘u mare”, cioè del vatti a spazzare il mare, retorica di un’azione inutile, spesso praticata dagli attivisti quale esempio di “amore” e “attenzione” verso la propria città.

Possiamo infatti ricordarli dediti a “ripulire”, di sabato pomeriggio, alcune spiagge desolate della nostra città o i giardinetti di periferia, ma spesso soltanto in campagna elettorale (giuro sono disinformato sul resto del vostro impegno).

Lui è il “leader”, anzi l’ex, e quindi gli tocca.

Una storia trita e ritrita che vuoi o non vuoi, tra “verdismi” diversi dai “verdinismi”, “ambientalismi” e “associazionismi” vari, tutti, più o meno una volta nella vita, hanno provato.

Io che scopo il mare nel 2007

E’ toccato anche a me, era il lontano 2007, quando ancora queste si chiamavano semplicemente azioni di cittadini “schiffarati”. Poi, disillusi dal risultato, ognuno tornava nelle segrete e dimenticavamo questa brutta storia.

In sostanza ci rendemmo conto, non tutti, di quanto fosse un atto fine a se stesso, anzi fine/o alla fine della campagna elettorale. Utile, probabilmente, forse, per raggranellare qualche commento sui giornali, qualche like e la simpatia di un nostalgico “vaffanculoide”.

Finita la campagna elettorale infatti, non sempre per carità (formula di rito n.d.r.), finiscono le pulizie, finiscono i giardinetti, finiscono insomma quelle attenzioni particolari, cioè di richiamo alla stampa e ricominciano i tradizionali “pipponi” sul web, i pedinamenti digitali e ogni tanto qualche banchetto nel salotto delle città.

Anche a Palermo, capoluogo tra i più attivi in tal senso, il Movimento alle ultime elezioni di primavera si è presentato con la tradizionale strategia della scopata del mare. Lo aveva fatto già nel 2012, per le regionali e le comunali, lo avevano fatto ancora prima di diventare movimento, quando in tanti vi si avvicinarono.

Altri invece, come me, restarono vicini e lontani allo stesso tempo, ad ammirarne la ripetitività.

Ma chi è allora Ugo Forello?

Oggi, anzi ieri, capogruppo dei pentastellati al Consiglio Comunale e ancor prima candidato Sindaco grazie anche all’altro ieri, quand’era volto in bicicletta dell’associazione Addio Pizzo ed avvocato (ragione per cui starò attentissimo a ciò che scriverò n.d.r.).

Io e ugo forello
Io ed Ugo quando abbiamo imparato a riconoscerci

Come le strafighe alle feste me l’hanno presentato decine di volte, ma la volta successiva non si ricordò mai di me. Col tempo, in particolare dopo le elezioni comunali 2017,  finalmente, trovammo il modo di arrivare ad una certa sintonia sino a far scoccare il bacio, doppio bacio, triplo bacio con braccio sulla spalla. Un rapporto che a “noi vippettari” piace tanto mantenere.

La prima volta che le nostre strade si incrociarono, con conseguente presentazione, fu durante l’arresto di uno dei tanti boss della mafia palermitana. Ugo in quei momenti c’era sempre.

All’epoca infatti, Addiopizzo, di cui era membro, coinvolse con euforia la stragrande maggioranza dei cittadini “operativi”, entusiasti, della rivolta antimafia portata avanti dal Comitato. Eravamo tutti felici in quegli anni e quando ne arrestavano uno, i Lo Piccolo, Raccuglia, Nicchi, solo per citarne alcuni e lo ricorderete sicuramente, da Provenzano in poi, diventò consuetudine per la “Palermo radical chic”, andare sotto la questura a festeggiare gli eroi.

C’erano tutti, c’era Forello, abbracciato con gli altri, intento ad ammirare i poliziotti incappucciati. Che bei giorni quelli. Ritrovarsi sotto la Questura, da non imputati e poi, in posa e in favore di telecamera a “festeggiare” quei momenti attesi oltre quarant’anni.

Forello-in-biciServiva pure quello, serve ancora. Lo dico con rammarico e con tutta l’onestà intellettuale, senza “H”, di cui sono capace. Ed Ugo, di quel gruppo di rivolta, fatto di slogan, adesivi e pubblicità, era il volto figo, bello e giovane. Un momento forte di questa città con un “hipster fricchettone” a rappresentarlo. Un ruolo, che noi tutti, per un attimo, avremmo voluto avere e vivere.

E invece no, c’era Forello.

Poi arrivarono le magliette di “addiopizzo” e ad Ugo spettò il ruolo di modello; un novello “Che Guevara”, barbuto come il guerrigliero cubano che però, le magliette, a differenza sua, le indossava. E quelle t-shirt le volemmo tutti, con orgoglio!

Le conserviamo ancora quale ricordo del riscatto di Palermo e da oggi di Ugo Forello.

A te, amico, Ugo.

Potere al fosforo! (questo post è ironico)

potere al fosforo

Stiamo per arrivare al fatidico 4 marzo. Ho scritto svariati post sulle prossime elezioni, soprattutto di partiti e personaggi. Manca ancora qualcuno all’appello, non un errore di distrazione, più mancanza di volontà. Oggi però riparo il torto.

Baglioni fece un album dal titolo ” quelle degli altri tutte qui”, ecco, questo post vuole raccontare quelli di cui non parlo mai, gli altri, l’ultima riga della colonnina dei sondaggi. Ovviamente tutti qui.


I PARTIGIANI DEL PD


Cominciamo questo piccolo viaggio da quelli che ancora non sono un partito, i “Partigiani del Pd”, un gruppo di ribelli col pennacchio, che ho già citato di sfuggita qualche giorno fa scrivendo di Leoluca Orlando, ma che meritano una menzione speciale per questa elezione.

Sono il partito del 5 marzo, cioè del post elezioni e per questo hanno già annunciato iniziative all’indomani del voto.

Partigiani del pd
Foto dei Partigiani del Pd “arrubbata” sul web

Sono una corrente, anzi, uno spiffero, all’interno del Pd, contano nella forza di big che ancora non si espongono e si vestono come negli anni sessanta. Sono stempianti, barbuti e con il brio dell’acqua sgasata, ma si vendono come giovani frizzanti. Praticamente la Ferrarelle elettorale.

I partigiani nascono per via della rottura tutta interna ai democratici causata dalle scelte di Matteo Renzi in merito alle candidature siciliane.

I partigiani del Pd al circolo Noce

Si asterranno dal fare campagna elettorale, omettendo il dato oggettivo, cioè se voteranno, ottenendo però così un preventivo successo in carriera.

Intestandosi infatti il non voto, come se ne fossero artefici e non complici storici, per la prima volta in carriera saranno parte visibile, concreta, dell’analisi della sconfitta.

Il giorno dopo appunto.

Nemici giurati: Matteo Renzi, Davide Faraone, Gambadilegno, il Commisario Zenigata, la curcuma, la pianta di felce, gli 883 con Mauro Repetto e Pupi Avati. Premio: Ai caduti. Dal pero.


POTERE AL POPOLO


Potere al Popolo

A sinistra della sinistra prende campo l’opzione “centri sociali” con “Potere al Popolo”, un gruppo nato a Napoli e diffusosi in Italia grazie al “potere”, globale, di Facebook.

Stanno nei sondaggi, come da tradizione, perennemente nella colonnina degli “altri”, esistono però quasi sicuramente. Ne ho certezza per via del fatto che ne ho visto uno anche dal vivo. Pubblicano foto di teatri strapieni e file da centro commerciale ai loro eventi.

Sui social straripano contenuti e sondaggi marchiati con il simbolo. Hanno statistiche su tutto, dall’acqua piovana alle gocce di piscio che si riversano sui fiumi. Mettono una virgola sui numeri rendendoli credibili. La tecnica è quella dei fruttivendoli: scrivono qualcosa, ci mettono il “virgola 99” e lo vendono come un dato concreto.

Sono affamati di “cioè”, “però” e di democrazie di matrice venezuelana, godono dell’invisibilità dei media che ne certificano l’esistenza con comparsate tv a cui partecipa quasi sempre una sola di loro, il “capo politico”, come vuole questa legge elettorale.

Sono pro qualcosa e contro tutto, si dicono fuori dai partiti, ma ne hanno uno dentro, Rifondazione. Contraddittori a partire dal nome, dove le parole potere e popolo, si sposano e divorziano nella visione di un istante: lo spoglio elettorale.

Sono 5, ma sembrano 100.

Nemici Giurati: Liberi e Uguali, Enrico Mentana, il casatiello fuori stagione, le multinazionali, la doccia, l’elettricità, l’ironia, gli abbracci con la polizia, le foto panoramiche ed il morbillo. Premio: Simpatia (questo premio potrebbe non essere vero!).


FORZA NUOVA


A Palermo per sottolineare un’ idea idiota o un’azione altrettanto stupida si usa ironicamente dire, indicando la persona protagonista del fatto con uno sguardo leggermente indignato: “E Mussolini vuleva vinciri a guerra!”

Ecco a ben vedere, i seguaci del Dvce rimasti, debbono essere ancorati a questo semplice slogan di scherno.

Per capirci bene.
C’e’ un video su “RepubblicaPalermo” (lo trovate qui), pubblicato all’indomani della feroce aggressione ai danni di un esponente di “Forza Nuova” nel capoluogo, che poi è anche il protagonista del filmato e che a mio avviso, in quei due minuti di servizio li racconta perfettamente o almeno per come io li immagino.

passeggiate per la sicurezza

Piccolo antefatto: Forza Nuova a Febbraio annuncia di voler fare delle passeggiate per la sicurezza per le vie più “preoccupanti” della città. Praticamente delle ronde di “controllo”.

I cronisti, solerti, che mai si disinteressano di notizie stupide, dunque, si fiondano per darne risalto (Qui il comunicato di Forza Nuova nazionale e qui un pezzo del Fattoquotidiano.it)..

I fatti.

Nelle immagini registrate da Repubblica, i protagonisti sono 5 o 6, cazzuti e concentrati mentre salgono su di un autobus di linea di cui non si registra la tratta. Stanno raccontando l’iniziativa quando all’improvviso, proprio mentre stanno organizzando le truppe, i loro volti si tramutano. I loro occhi diventano spaventati e contriti. I nervi sono tutto un “fascio”, i tatuaggi prendono forma sotto ai pantaloni attillati e giubbotti da club di motociclisti post Vietnam.

tutti serrati

A questo punto chiamano la fermata e il loro “capo”, non so se dice così, si rivolge ai camerati e alle camere con l’ordine: “tutti serrati!”
I passeggianti più gli operatori del giornale a quel punto scendono dal bus; i primi in formazione “5 di mazze”, gli altri a “2 di coppe” al seguito.

La formazione a 5 di mazze

Nella scena successiva si parla quasi sottovoce, i toni infatti si abbassano e le operazioni sembrano svolgersi in luogo appartato. La giornalista tenta di capire cosa stia accadendo continuando a fare domande. L’atmosfera appare tesa, il “capo”, assai demoralizzato, ammette sconfortato, che il gruppo è stato individuato, seguito e di dover rinunciare alla ronda per queste ragioni, però li invita anche a proseguire il servizio in solitaria.
La giornalista incredula, chiede lumi: “allora per problemi di questo tipo non rifarete più l’iniziativa?” Alla domanda non segue risposta, anzi, un “no”, appena accennato e poi una mano per fermare la domanda, successivamente c’è un taglio sul montaggio, non si capisce se voluto o perché non è stata rilasciata una dichiarazione utilizzabile.

Fine del servizio.Restano mille dubbi e cioè, questi “giovani” palestrati e con la faccia da cattivi, la camminata da miglior attore non protagonista in “Sons of anarchy” si mettono paura dei ragazzini del Liceo Cannizzaro e rinunciano alla ronda di sicurezza? Ma scusate, su chi volevate vigilare? Sui pensionati ? No perché le vecchiette impaurite ci danno dentro con le borsate! Eh!

Infine, se dovevate “passeggiare” lungo le linee dei quartieri a rischio, che ci facevate in via marchese di Villabianca, nei pressi del liceo e cioè nel quartiere libertà? Ma che rischio è? E ancora: chi erano i destinatari da proteggere e chi quelli da cui difendersi? A chi era rivolta la passeggiata?
Chi vivrà, vedrà.
Nemici Giurati: I centri sociali, Obi Wan Kenobi, Milly Carlucci, L’amaro del Capo, il gas di città, la linea 101, le famiglie al ristorante coi bambini, i venditori di rose ed il battimanine che viene papà. Premio: Al coraggio di crederci ancora.


CASAPOUND


Diversi da Forza Nuova per via di un logo che rimanda alla filosofia della tartaruga e distinguibili grazie ai giubbini col pellicciotto di cammello sul collo, i militanti di “Casapound” si preparano ad entrare in parlamento ovviando alla tradizionale marcia su Roma.

Da qualche giorno hanno presentato il programma, scritto in “Futura 32” e che, dicono, l’Istituto Cattaneo avrebbe certificato quale programma più credibile di questa tornata elettorale (fonte PalermoToday).
Dopodiché pare che l’istituto sia stato trasformato in “Istituto di Igiene mentale Commissario Corrado Cattani”.

Amano la barba curata, i capelli squadrati, le arti marziali, gli acquerelli. Lottano per il diritto alla casa, le canzoni di Battisti senza Mogol, il festival di Sanremo senza stranieri, prima gli italiani!

Nemici Giurati: Le classifiche dall’ultima alla prima, la metà del corpo a sinistra, i calzini spaiati, il colore bianco, lo scooby doo rosa, gli asparagi che danno un odore agre all’urina, i poliamorosi e la “U” a forma di “U”. Premio: Miglior programma e cinepanettone.

A tutto campo amico mio

a tutto campo amico mio

Eroi a tutto campo con l’avvicinarsi del 4 marzo. Mancano poco meno di 10 giorni al voto. Candidati di tutti gli schieramenti, pochi, decidono di incontrare la gente.

a tutto campo amico mio
Io che do un consiglio per gli acquisti

Mi capita sempre più spesso di partecipare ad incontri elettorali dove oratori spregiudicati, alcuni anche pregiudicati, illustrano la propria storia politica, morale e intellettuale con un tocco di eroismo che manco la Marvell ha mai osato immaginare per i propri personaggi.

Ci sono candidati che hanno condiviso il letto con Lady D., imbiancato la Casa Bianca, illuminato gli Illuminati, montato coi lego la cappella Sistina, cantato l’italiano con Toto Cutugno, sbagliato un congiuntivo con Di Maio, raddrizzato la torre di Pisa, spiegato la bibbia a Dante e per ragioni di tempo non sono stati sbarcati sulla Luna, ma che stanno risolvendo con ampie sessioni di video montaggio notturno.

Foto tratta dalla pagina dei Socialisti Gaudenti

Insomma, fanfaroni dall’ego esagerato.

E’ facile, li riconoscerete con poca difficoltà. Terminano e cominciano le frasi con “Io” ed in mezzo illustrano l’ampio arco di amicizie coltivate nel tempo. Praticamente si raccontano come dei “Forrest Gump” consapevoli e con più talento.

Hanno la soluzione per ogni emergenza, ma ci avevano pensato prima degli altri. S’intendono di tutto e soprattutto di più. Di chi, non si sa.

salvini mangia banane
Salvini mangia banane e pubblica sul suo fb.

Durante le campagne elettorali riscoprono il mare, il turismo e la freschezza della montagna, assaporano sapori bio e dal gusto a km zero, sorseggiano vini frizzanti prodotti nei giardini di casa, aprono chiese con la sola imposizione dello sguardo e snocciolano dati manco se fossimo al dopo cenone di natale con il cesto di frutti secchi di circostanza.

Insomma ci siamo capiti.

Se vi capita di incontrali, individuarli o persino conoscerli, sappiate bene che sono i primi da non votare per le stesse ragioni per cui vi chiedono il voto.

Le campagne elettorali sono diventate così: vuote e piene di pazzi.

Si voterà a Marzo nel segno dei pesci, qualcuno si è improvvisato candidato ed ha lanciato un’esca nel mare.

Voi, non abboccate.

Il club delle menze maniche di Palermo

CLUB MENZE MANICHE DI PALERMO

Ciccio Cascio, Gianfranco Miccichè, Dore Misuraca e Diego Cammarata; i 4 temuti esponenti palermitani che formavano il “club delle menze maniche di camicia bianca” si è ormai definitivamente sciolto.

diego cammarata scrive a doreQuel che resta di un sistema di potere e aperitivi rinforzati, si è ormai dissolto come un candeggio riuscito male. Lo dicono i fatti, lo dicono le cronache, lo dicono anche le lettere di “suo pugno” (Leggi alla voce Diego Cammarata in fondo al pezzo).
Tra la fine degli anni ’90 e la fine del primo decennio del duemila, questi quattro, erano, insieme a Ciccio Scoma, che è un po’ il Riccardo Fogli di questi Pooh della politica, i padroni di Palermo.
Lo dicevano numeri e incarichi, lo dicevano interviste e ruoli di potere.
Erano il cavallo bianco di Napoleone di quel sessantuno a zero che rese Miccichè il P.R. indiscusso della Sicilia e Berlusconi il capo del Governo.
Il blocco del “qui si può”, per parafrasare un noto pezzo dell’alter ego musicale, in grado di eleggere sindaci e amministrazioni premiando uomini per il solo merito essere amici.
Dominavano e fagocitavano le folle con l’arma dei sorrisi ammalianti e delle abbronzature alla Miami Vice.
Tenenti di un esercito del destino dal petto villoso, di una guerra giocatosi tra il tennis club e le serate danzanti nel cuore della città cementificata.
CLUB MENZE MANICHE DI PALERMOQuel tocco di esotico vippismo che tanto piace ai “Miserabili” e principalmente ai miserabili con tessera Vip, che per un decennio e non solo, hanno consentito a Forza Italia di essere bello e sciccosissimo tempo.
Lo so, la mia è una affermazione forte e forzata, ma scremata dalla licenza letteraria, alla fine, tutti ricorderanno ciò che sto descrivendo, senza avere necessità di un “rinfresco di memoria”.
Ma come ogni storia da alcolista insegna; dopo una sbornia, arriva sempre un mal di testa fortissimo. Ecco dunque giungere una discesa, quasi una serata da settantenne che ha dimenticato il viagra ad un’orgia di potere, che noi chiameremo più semplicemente: secondo decennio del duemila.
Una nuova (!?) generazione di giovani marmotte a mezze maniche, capeggiata da Angelino Alfano (ex forzista) e Matteo Renzi (ex margherita) formavano un sodalizio che in pochi mesi avrebbe saccheggiato quel che restava degli ormai defunti partiti.
Con una sorta di shakerata post elettorale infatti, avrebbe preso il potere, aggiungendo all’indigesto cocktail una fetta di limone, i democristiani dispersi. Avrebbe anche diviso il potere con la formula dei grandi portatori di voti e accontentava le masse, bramose di cambiamento. Praticamente una selezione della differenziata, mettendo nel sacco l’utilizzabile e lasciando filtrare l’umido nel sottosuolo.
Da quel momento, coinciso con la caduta del secondo impero silvista, il quattro bianchi di Palermo ha smesso di essere gruppo, di essere blocco, di essere aperitivo esclusivo. Divisi un po’ di qua e un po’ di la. Soli, come uno “Ius” in casa Meloni, rimasti senza cordone e paletti a dividere i belli dai brutti, i sorrisi dalle coltellate, i fighi dai fiaschi, i pettinati dagli spettinati.
Ma il sottosuolo tutto ciò che assorbe, prima o poi, lo sputa fuori. A piccoli spruzzi infatti, ecco tornare di scena vecchi simboli e partiti per coagularsi sotto al sole caldo della disfatta dei nuovi Marescialli dalle maniche arrotolate. Renzi e Alfano insieme sono durati meno di una prestazione occasionale, di un lavoratore a voucher o di un po’ di sesso al telefono con l’199 che poi costava caro e dunque meglio “venire” subito. Una coppia di oggi, sposata, ma pronta a divorziare alla prima avance dall’esterno.
dore misuraca
Forza Italia dunque, lentamente, tornava ad esistere e con lui vecchie glorie ringalluzzite a sperare. Berlusconi, sempre lui, sul posto a riassegnare medaglie al valore. Miccichè, dimenticato nell’angolo come una “babe” qualsiasi, piano piano, a riorganizzare le truppe, vincendo, alla prima occasione, le bislacche elezioni  siciliane.
E man mano che le elezioni nazionali si avvicinano, rientrano in squadra quasi tutti: compresi il numero due Cascio ed il riporto Schifani.
Torna a parlare persino Diego (qui la lettera), il numero 3, scomparso ormai da quasi un decennio e sconvolto, persino lui, dalla decisione di uno dei bianchi, Dore, il numero 4, di entrare nel Pd.
L’uomo con la giacca sulle spalle, Misuraca, quasi un messaggio di allora per distinguersi nel club, infatti, ad un mese dalle elezioni decide di tesserarsi al partito democratico, folgorato, pensate un po’, dalla missione speranza e carità voluta dall’aggregato renziano sudato di Sicilia, Leoluca Orlando e Davide Faraone.
Il sintomo, questo, di una fine che non avrà mai fine, ma di un finale che varia a seconda della stagione.

Leoluca porta il pallone nel Pd

Una foto d’archivio. Luca Orlando con Idv nel 2008

Orlando, Sindaco di Palermo, Presidente dell’Area Metropolitana, Presidente dell’Anci e dell’Ati, capo della curva nord, sud, ovest ed est, controllore dell’autobus, delle zone blu, della ztl e nel tempo libero posteggiatore abusivo. In poche parole, uno a cui piace comandare, decidere e come si direbbe a Palermo “fottere”, ma non nel senso stretto del termine, cioè “arrubbare” o ancora “sodomizzare”, ma nella sua accezione di “futti cumpagnu”, cioè di frega il compagno.

Ma “cumannare è megghiu ri futtiri”, lo sa benissimo il pentasindaco di Palermo.

Leoluca o Luca, è l’uomo che porta il pallone. Decide tutto lui e se non ci sta, tutti a casa. E’ cosi da venticinque anni. Adesso torna nel Pd, lo stesso partito che ha demolito, insultato, contrastato per quasi un decennio. Lo stesso partito da cui è uscito, ancor prima d’entrare, all’alba di due elezioni comunali fa.

Orlando è così, mattatore e mattacchione. Ama la ribalta, ma anche la risvolta, il colpo di teatro e, soprattutto, annunciare il copione. Nel 2012, ad esempio, disse che non sarebbe mai stato candidato Sindaco di Palermo, anzi lo precisò in aramaico, un mese prima di candidarsi. Tutto il 2017 ci rassicurò che mai si sarebbe alleato con il Pd in campagna elettorale, per poi invece averli alleati sotto “falsa identità”. Continui nel tempo furono i suoi no al Partito Democratico a cui oggi appunto si è iscritto e da cui ha annunciato, come se qualcuno gliel’avesse anche chiesto, che non sarà candidato alle prossime elezioni europee.

Ergo, preparatevi a vederlo in campo.

E se ancora non vi basta, sul sito democratica.com le sue parole appaiono chiare: “sono stato io nel ’97 a depositare il simbolo Partito Democratico”.

Fischio e palla al centro.

I partigiani del Pd si allarmano, pronosticando una scalata all’interno del partito. Sì lo so che fa ridere l’accostamento ai partigiani, ma su una cosa c’hanno ragione, il vecchio Leone non aderisce a niente che non possa scalare, dominare, comandare. Le premesse ci sono tutte. Il Pd è in declino, la sua classe dirigente è frantumata, disunita e stanca. Dividi et Impera, tutto servito su un piatto d’argento. E’ lo stile Orlando, sul serio, questo lo sa fare.

Al suo fianco, durante la celebrativa presentazione d’iscrizione, manco se fosse un avvenimento storico poi, c’era soltanto un pezzo, un’area, del Pd, quella Renziana, la stessa che si appresta a ricevere una clamorosa sconfitta alle urne (il 4 marzo n.d.r.). La stessa che, dal 5 marzo, si dovrà riorganizzare insieme a tutto il resto del partito.

E con Orlando in campo…

 

Domani si vota

domani si vota - beatrice brignone carmelo di gesaro pippo civati franz foti

Vorrei scrivervi un “domani si vota - beatrice brignone carmelo di gesaro pippo civati franz fotipitazzo” chilometrico su domani, vorrei trovare le parole per entrare nella testa di ognuno di voi e scoprire con estrema certezza che insieme non “traghetteremo” la Sicilia nelle mani del centrodestra siciliano.

Vorrei, ma non posso. Opto però per la fiducia, in particolare nella vostra libertà individuale, qualsiasi essa sia, affinché domani alle urne, esprimiate una preferenza, libera e onesta, ricordandovi, ancora, di mettere a fuoco gli anni che furono di Cuffaro e Lombardo.

Non avete bisogno di qualcuno che vi spieghi ogni singolo perchè; ce l’avete in casa, in famiglia o tra i vostri amici.

Ecco, citando Jobs, non act, siate folli, ma smettetela di essere affamati con le motivazioni sbagliate.

A domani

Quasi 5 novembre

Quasi 5 novembre

Quasi 5 novembreForse l’ultimo di questa campagna elettorale, ma anche il più difficile, quello in cui effettivamente dobbiamo impegnarci a fare l’ultima telefonata, l’ultimo sms e l’ultimo caffè per raccontare quanto è pericoloso riconsegnare questa regione al blocco di potere che dal 2000 ad oggi ha portato la Sicilia al default e che ci ha tolto, in sintesi, l’opzione “diritti” dalla scheda dignità.

Quel blocco, dopo anni di sputi e veleni, rivendica una gestione eccelsa della nostra terra, la stessa che oggi viene ricordata dai media solo come la “regione degli sprechi” senza però ma chiedersi la “ragione” degli sprechi.

La cosa divertente, non per me chiaramente, è che buona parte di essi, nel periodo d’oro della Casa delle libertà, la stessa che oggi si proclama al futuro al grido “sarà bellissima” ma con il fondamentale hashtag (il cancelletto), fu il motore di quella stagione degli sperperi.

Dalle assunzioni senza concorsi, alle gare di appalto milionarie, dai servizi esternalizzati e senza controllo fino alle famose partecipate. I somma, basta farsi un giro negli archivi della stampa per capire i motivi per cui quel blocco che si ripropone, adesso unito, per tornare a gestire quel che resta della nostra Regione.

E noi, sinceramente, non possiamo consentirlo! E attenzione, non per via di nomi impresentabili (che ci saranno sempre) e altre cagate varie che sono l’unico argomento di questa tornata elettorale, ma più semplicemente perché questa sicilia ha bisogno di redistribuire i diritti, non poltrone, non soldi, non clientele.

Minchia! Si futtieru i cabine!

Minchia! Si futtieru i cabine

Minchia! Si futtieru i cabine
Io e un facinoroso gruppo di estremisti della pennica, durante una manifestazione per liberare Mondello dalle cabine (gabbine).

Dopo la triste e sorprendente notizia del furto della Lapa ai danni dell’ex candidato Sindaco di Palermo, Ismaele La Vardera, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa qui, si viene a sapere che ben mille cabine elettorali, anzi “gabbine” in alluminio, sono state sottratte la scorsa settimana, da un deposito comunale in via Luigi Galvani (fonte Repubblica Palermo).

Un ratto, pensato o forse nato, sulla base di un notevole equivoco: poterle riutilizzare lungo il rinnovato litorale di romagnolo.

Da qui dunque, la trovata di tre palermitani, così dicono le cronache, ricercati e poi trovati, per aver sottratto alla città beni di notevole valore a pochi mesi dalle elezioni di novembre. Un danno che il Comune adesso dovrà affrettarsi a risarcire, magari chiedendo un prestito alla “Italo Belga”.

Alle prossime elezioni dunque, si potrebbe realizzare il sogno di tutti i palermitani: un posto vista mare, grazie alla politica.

Purtroppo, la notizia vera dice che, nonostante siano stati individuati i presunti ladri, una parte di essere era già stata triturata per essere venduta sotto altra forma.

Ma se non fossero state distrutte, sarebbero sicuramente finite al “porto franco” di Ballarò, come bancarelle sui cui appoggiare ulteriore merce “arrubbata”.

Dove devo firmare? (citazione di una domanda che se hai fatto almeno una volta nella vita lo scrutatore avrai subito)

p.s.

Vi allego l’articolo pubblicato su “La Sicilia di Catania” del 2007 che ci raccontò come un gruppo di pensionati, io avevo 27 anni, che voleva liberare il mare dai ladri con le cabine. Un pezzo di storia da non dimenticare

Micari e la generazione Next amica mia!

Micari e la generazione Next amica mia!

Micari e la generazione Next amica mia!Fin dalla comparsa dell’uomo, prevedere il futuro è stato al centro del più grande mistero da indagare per l’intera umanità. Se ne sono occupati tutti; dai Maya, alle civiltà Egizie fino ad arrivare oggi al candidato dell’ammucchiata e Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari.

Interessarsi dei giovani e del loro futuro è un bell’intento, non ho che dire su questo. Rende onore a qualsiasi politico di qualsiasi schieramento, persino uno che non voterei.

Il problema resta invece sui contenuti. L’uso di concetti triti e ritriti come Next, un inglesismo per una candidatura che si immagina di accattivare la sicilia ed i siciliani, e, non si capisce perché, rivolta in particolare ai giovani, che a loro dire, vedrebbero in una parola Inglese, lo stesso fascino che suscitavano specchietti e perline sui colonizzati.

Una Sicilia a cui si prova a rendere onore colorando di giallo e rosso due strisce all’interno di un logo, che onestamente, non rappresenta nessuno: né i giovani, né i Siciliani. Un’identità grafica stantia e con un concetto antico già ai tempi dei fenici.

Ecco, ci potevate mettere una bella nave! Quella sì che avrebbe rappresentato la situazione attuale dei siciliani: la fuga da questa regione. E non la migrazione per migliorarsi auspicata e venduta ai quattro venti da Leoluca Orlando.

Dalla Sicilia si scappa. E non solo perché non c’è il lavoro. Non ci sono concetti. Si vende frittura di aria come se fosse prelibatezza di prima scelta. E la puzza di frittura da questa parte del fronte ha saturato l’aria. Fino a farci mancare il respiro. Fino a farci mancare la volontà.

Dal Rettore della prestigiosa Università di Palermo, sinceramente, mi sarei aspettato un passo in più, un impegno concettuale tale da coinvolgere, coinvolgermi, piuttosto che farmi pensare: la solita minchiata.

Perché se è vero che Alfano non lo sosterrei mai, è pur vero che abbiamo bisogno di un progetto a cui “affezionarci”. Non due parole su “chi non vuole restare solo a guardare” chiamandolo a raccolta, differenziata, solo per i giovani, ma anche i non giovani (un si ecca nienti, eh! ), dentro ad un “contenitore politico”, l’ennesimo (qui alcune dichiarazioni).

Perché di contenitori siamo pieni. Mancano sempre e soltanto i contenuti.
Argomenti che un Rettore, seppur alla sua prima uscita da candidato, avrebbe dovuto proporre, visto che ci si rivolge ad una fascia di persone che non vive di soli social network, per citarlo, ma anche di social network, proprio a partire dall’immagine proposta con il suo stemma.

“Next” e “nuova generazione”, non parlano a nessuno, neppure agli Inglesi in vacanza in cerca di una direzione o ai vecchi nostalgici del futurismo! E quel cerotto coi colori della nostra regione, sinceramente, è assai indicativo del progetto che si vuole rappresentare: una toppa.