Moana Pozzi: inventrice della libertà (podcast)

Protagonista dei sogni erotici degli italiani. Bella, sensuale e intelligente, Moana Pozzi seppe sconvolgere le ipocrisie morali della gente offrendo una immagine del porno diversa, l’idea di un amore libero senza vergogna. Responsabile morale della perdita di diottrie di milioni di ragazzi, Moana Pozzi era un mito ancora prima di una morte prematura.
Carmelo Di Gesaro racconta la vera Moana Pozzi, colei che liberò l’Italia dai falsi pudori e ricaricò l’autostima di un esercito di pugnettari.

Testo: Carmelo Di Gesaro
Voce: Edoardo Camponeschi e Ménéstrandise Audiolibri
Disegni: Anna Francesca Schiraldi e Schiraldi Art

Amy Winehouse: la voce dell’aperitivo (con podcast)

Amy Winehouse con la sua voce calda, avvolgente, ti accoglie come un abbraccio appassionato; nella sua breve vita è riuscita a fare innamorare il mondo. Artista straordinaria, con un look da far girare la testa, è diventata la colonna sonora degli aperitivi più blasonati e degli uomini in amore.

Il suo unico difetto?
Aver dato vita alle cosiddette Emowinebar, improbabili emulatrici seriali che a guardarle bene sembrano un prodotto tipico della via dei presepi di Napoli.

Testo: Carmelo Di Gesaro
Voce: Edo e Ménéstrandise Audiolibri
Disegni: Anna Francesca Schiraldi e Schiraldi Art

Leggi il testo qui: https://www.ilmalvagio.it/2020/08/09/amy-winehouse-la-voce-dellaperitivo-con-podcast/

645 è in vendita!

In questi giorni di quarantena ho chiuso la scrittura di un testo a cui tenevo particolarmente; volevo informarti infatti, della pubblicazione di 645: Una storia d’amore ritratto di un’epoca.


–Sei, quattro, cinque, è una storia d’amore fatta di dialoghi immaginari, “dialoghi sordi” e sentimenti che non trovano corrispondenza. Questa non è la storia di due persone soltanto, i personaggi alle volte non hanno nome, sesso, luogo o tempo esatto. È un racconto introspettivo che ripercorre, in un lungo fotogramma, il quotidiano di un uomo innamorato.–
È un’auto-produzione che si sosterrà con le vendite e il passaparola degli amici, il tradizionale metodo del “senza picciuli”.


Su Amazon è già disponibile la versione cartacea (https://bit.ly/Acquista_645) e Kindle (https://www.amazon.it/dp/B089Y5TF8W)
Se vuoi sostenermi con la promozione, ti chiedo di condividere sui tuoi social il link di Amazon.
https://bit.ly/Acquista_645


Nel caso il libro ti sia anche piaciuto, un modo per sostenermi è quello di rilasciare una piccola recensione sul portale Amazon. Se non ti piace, picchiami in privato appena avremo la possibilità di vederci.Grazie di tutto in anticipo

Il coronacose

In questi giorni d’isteria generale giustificati dalla presenza del “coronavirus”, il nemico sei sicuramente tu. Sì sì, proprio tu che stai leggendo e probabilmente sfreghi le dita pensando a quando arriverà la stoccata nei confronti di “quegli altri” che di solito sono i protagonisti del cattivissimo me.

E invece questa volta parlo proprio di te. Di te che, inconsapevolmente, potresti essere il nemico della porta accanto, lo stronzo, il classico demente che lascia la caccola sotto al pulsante dell’ascensore aspettando il momento in cui qualcuno, probabilmente io, ci metterà le mani sopra. Lo stesso che sta pensando di leccarsi le dita al prossimo fonzies per poi passare il pacchetto all’amico affianco.

Già, perché l’italiano può rinunciare a tutto, ma non ad essere il sudicio di sempre. Il problema è l’altro, sempre l’altro. Ma l’altro chi?

E’ sempre lo stesso l’altro! Siamo noi! Quelli che sputacchiano per terra, che fumano in qualsiasi luogo e che alla prima occasione fanno inalare l’afflato tabaccoso al primo che passa. Tanto il fumo fa solo male, mica fa venire una polmonite!

Quell’italiano siamo sempre noi. Gli stessi che, per ragioni oscure, provano indignazione per le abitudini dello sconosciuto e poi, indifferenti, prendono il caffè accanto al netturbino in divisa che sta comodamente poggiato al bancone del bar, occupato a mangiare noccioline dalla tazza comune mentre con la mano rimanente sorseggia, ridacchiando a bocca aperta, una birra.

Attorno al “coronavirus” abbiamo creato una comunità fatta di alcol e spugnette, in fondo però, non abbiamo cambiato un cazzo. Chiunque procede con la sua quotidianità fatta di lerce abitudini, come appunto fumare in faccia alla gente, scaccolarsi e poi premere i tasti per scendere alla prossima fermata del bus o, appunto, sorseggiare una birra rilasciando percolato dalle scarpe anti infortunistica.

Eppure sembriamo crederci quando ci arrabbiamo per un colpo di tosse, quando guardiamo male quelli che entrano in farmacia o quando vediamo uno “stolto” appollaiarsi su una panchina. Sembriamo seri, ma non riusciamo intimamente ad allontanare il sudiciume.

Il “coronavirus” infatti resta un problema dello Stato, della Cina, di quelli che all’interno della “Zona Rossa” vogliono vivere una vita normale mentre dovrebbero starsene soli a casa a custodire in famiglia il virus. Che centriamo noi?

Solo diritti e legittime pretese.

Ad esempio, servono dei “baby sitter”, che segretamente chiamiamo insegnanti, ai quali affidiamo i figli perché a stare con loro ci rompiamo i coglioni (giustamente!) ed è per questo che facciamo petizioni per far smettere quest’emergenza!

Tra l’altro oh, quante firme servono per estinguere possibili pandemie da figli in casa!?

Che poi mi sorge un ulteriore dubbio: ma in estate, quando questi ragazzi c’hanno tre mesi di vacanza perché la scuola finisce, a chi cazzo li lasciamo?

Boh. Non si sa. Però intanto firmiamo contro questa emergenza di “coronacose” che crea problemi agli italiani, alle famiglie, al turismo, alle compagnie aeree, ai supermercati, agli ospedali, ai vecchi, ai diabetici e crea problemi a chiunque insomma, “non deve cambiare le proprie abitudini”.

Per fortuna ci pensarono i giornali a tamponare l’emergenza del cambiamento! Grazie per averci rassicurato al grido di: “ricominciate a sputare per terra, in Italia va tutto bene!”

Adesso però è tardi, la realtà ci sta sputando addosso, anche ripetutamente e vorremmo essere come quelli che mantengono le distanze dagli altri per natura, uguali a quelli che non si muovono dai confini se non per necessità e normali come quelli che comprano carta igienica a sufficienza anche in periodo di pace.

Già, di pace, perché questa è diventata una guerra all’ultimo respiro, è il caso di dirlo. Una guerra tra chi piscia al buio e chi piscia ricordandosi sempre che il prossimo a sedersi potrebbe essere lui.

Nel frattempo comunque, se dovessi morire, non pensate a me, ma a quelli che dovranno alzare la bara.

Rip.

Sardine che si agitano nel mare

logo sardine palermo
logo sardine palermo

Qualche giorno fa, narrano le cronache, che a Palermo si siano ritrovate circa 4000 “sardine”, persone, che tutte messe insieme, formerebbero un banco contro la deriva “fascista”, di questo paese. Il movimento nato intorno ai social network, raccoglierebbe individui che spontaneamente si raccolgono nelle piazze a manifestare appunto, contro la prepotenza di nazione rappresentate dall’attuale “Lega” di Salvini ivi compresa tutta la sua compagnia al seguito.

Fin qui tutto apparentemente interessate, seppur, sento la necessità di evidenziare un paio di cose che ruotano attorno a questo ormai celebre movimento della gente. L’ennesimo.

La prima è che a Palermo, un modo per celare un accordo nato clandestinamente tra le parti, viene espresso dietro alla maschera di un celebre modo di dire che è “pasta chi sarde”. Con questa piccola premessa, vorrei illustrarvi intanto quello che mi è arrivato durante questa “celebrazione” del pesce, per poi arrivare ad alcune considerazioni più generali sui movimenti della “gente”.

Ad esempio, probabilmente ispirati dalla possibilità di un accordo pasta con le sarde, ecco che in quella piazza erano presenti alcuni esponenti di tutto l’arco costituzionale politico del panorama cittadino che avranno pensato bene, di mescolarsi al banco sapido delle sardine per colmare il proprio vuoto d’esistenza. E’ sempre bello farsi due selfie con tanta gente intorno, specialmente se in prospettiva ci si vuole ricandidare.

Tra la loro, per dire, non ho potuto fare a meno di notare attuali Sindaci, ex candidati a sindaco con il centro destra (eh si, alleati di Salvini), ex senatori del Movimento Cinque Stelle, gran parte della galassia dei defunti/rinati di Liberi e Uguali e tantissimi amici di Italia Viva, i renziani per capirci, che da veri appassionati della spesa “low cost”, probabilmente sono andati da quelle per verificare l’occhio della sarda. Ora, questo “neonato” movimento, e scusate il gioco di parole, “nato dalla gente”, altra frase che si una per celare qualcosa di uguale e non libero ma che deve apparire naturale, si é presento alla piazza sotto forma di tantissime persone e questo di per sé é l’unico aspetto che finora ho apprezzato. 

Quello che però non mi piace, oltre al succitato impasto di ex qualcosa, é per esempio l’aver fatto di una rappresentazione popolare, un “brand”. Già, perché al di là del fatto che sia nato ed esploso così in fretta, la cosa che mi incuriosisce di più é questo fatto che si é subito pensato di registrare il marchio delle sardine. In sostanza è come se domani mattina scorreggiassi sul bus, e la prima cosa che pensassi di fare, piuttosto che dimostrare che quella non é puzza, ma fragranza, fosse quella di registrare la macchia sulla mutanda, elevata a simbolo della forza aggregativa che pirito e merda hanno di suo per costituzione.

Quindi, per sintetizzare, neanche sono nati e pochi giorni dopo hanno sentito la necessità di brandizzare “piazza e gente” allo stesso modo di come si identifica e marchia un qualsiasi sottoprodotto da discount. Perché dico questo, perché trovo assurdo che la prima cosa che si sia pensato di fare di un sentimento, sia stato quello di rinchiuderlo all’interno di un brand rivendibile in qualche contesto, magari che ne so, sotto forma di magliette. E lo capisco che Ficarra e Picone lanciarono una bella idea parlando della fama di Che Guevara nel mondo della moda, ma si può veramente circoscrivere in un logo, una in una piccola “r” un sentimento?

Successivamente, la seconda domanda che mi pongo e vi giro è poi sempre la stessa, finita l’aggregazione contro qualcuno, l’idea, l’ideologia, qual é? Ho letto il manifesto, ne condivido alcuni punti ovviamente, ma ci si può presentare ancora dicendo no ai partiti, no ai simboli, no alle ideologie? Ma veramente siamo convinti che serva un qualcosa di già visto che non parli ad una visione del mondo?  Io credo proprio di no, perché la necessità di oggi che poi è quella di sempre é avere una visione del mondo, delle cose del mondo, del funzionamento del mondo! Un’idea, un’ideale di mondo, e non mi basta dire no a Salvini e alla sua Lega, per sentire appagato il mio desiderio di realtà! Non servono i simboli, servono simboli associati ad idee e quindi ad ideologie.

Il fatto di aver alzato immediatamente le mani davanti a domande che facevano riferimento alla vostra idea politica del mondo, mi mette più paura dell’idea inutile del mondo che hanno i seguaci di Salvini!  Perché di domande ne abbiamo tutti tante e a queste domande devono rispondere visioni precise del futuro, non l’unione sotto all’egida di un marchio (pure brutto eh). Qual é lo spirito che succede alla piazza? Qual é lo spirito che metterà un qualcosa di concreto tra gli ex di tutto? Perché attenzione, quelli di cui parlavo sono già al loro posto in prima fila, non é che li schioderete così facilmente. Sono gli stessi che hanno ucciso qualsiasi argomentazione su ambiente, politica, dignità, lavoro e così via.

Nella vostra azione, al momento, ho visto solo la nascita di un marchio, di un logo, di un claim e di una piazza, piena, per carità, ma che risponde esattamente a schemi già visti e rivisti decine di volte! Sarete stati anche bravi a far presenziare tutte le ex al vostro “Life Achievement Award” riunendole al tavolo come un Jack Nicholson qualsiasi, ma non è sufficiente; sicuramente non è stimolante trovarsi in una piazza e rivedere le solite trite e ritrite facce tristi del fallimento. Questo lo abbiamo già visto decine di volte, in Sicilia poi migliaia; abbiamo avuto lenzuoli, forchette, forconi, onde e ora non ci mancavano pure i pesci.  Che poi anche a me piacciono le “idee” che vengono dalla “gente”, mi piacevano pure i “Cinque Stelle”, poi ne hanno voluto fare un brand senza identità e il risultato si é visto.

Mi piacevano pure le “forchette rotte” (non è vero), solo che già le vedovo posizionate alla destra della portata e infatti…  Mi vorrebbero piacere ancora le piazze, ma se a riempirle ci saranno sempre le questioni contro e mai le questioni pro, allora mi dispiace, ma fazzu a sulu, in solitaria.

Occhiu vivu!

Le “start-up” hanno rotto il cazzo

start-up hanno rotto il cazzo

Le start-up hanno rotto il cazzo, ve lo dico senza un minimo di preoccupazione sulle “ritorsioni” che subirò per questa affermazione. Le start-up, che in Italia poi sarebbero le attività, tutte, che stanno cominciando un percorso d’impresa, sono state per un lungo periodo la panacea dell’imprenditoria. E se questo di per sé non è un male, ad aver sinceramente rotto i coglioni è stato l’abuso dell’inglesismo.

“Ho una start-up”, ad un certo punto, è stato come dire c’ho la minchia di venti centimetri. Improvvisamente tutti hanno cominciato ad avercela lunga e ancor peggio a spiegare agli altri come avercela ancora più lunga. Una corsa all’allungamento del pene che non si vedeva dai tempi dell’esordio della mailing list.

A Palermo poi si è totalmente confuso il concetto di start-up, dove aziende con un decennio di attività si continuavo a definire “startuppers” di belle speranze. E ci guadagnavano pure. Certo nel 2008 faceva figo, poi di cinquantenne col sigaro.

Uno start-up d’impresa dura più o meno tre anni, mettetevelo in testa. Dieci no. E poi, sappiatelo, per definirsi “startupper” bisogna che la vostra impresa abbia una forte innovazione imprenditoriale. L’impresa delle pulizie è una start-up soltanto se riesce a lavare i pavimenti con la forza del pensiero. Sennò no, è solo una nuova impresa di pulizie.

Sentir parlare di “start-up” all’italiana mi fa letteralmente venire il vomito. Non scherzo. Ogni volta che qualcuno ne parla, distolgo sguardo e mimetizzo la presenza. Vado via. E’ capitato anche che mia sia alzato da tavoli, trattative e conferenze.

È ipocrita, come è ipocrita questo sistema di “presunta” impresa. Si è voluto fare credere alle persone che si poteva creare lavoro, diventar liberi e ricchi, senza spiegare a nessuno come e perché.

Da un certo momento in poi tutti volevo essere dei “Gates” e degli “Jobs” indossando maglioni a lupetto ed occhiali quadrati, dimenticando di vivere in un paese con regole e burocrazia del medioevo.

E se ancora non bastasse, nessuno ha spiegato loro i guai che una scelta del cazzo avrebbe comportato alla loro famiglia. Debiti, erosione dei risparmi e conseguente distruzione della serenità.

Oggi si piangono “startuppers”, domani soltanto dei disperati.

I contributi per l’autoimprenditorialità

I contributi per l'autoimprenditorialità

Ragazzi sappiatelo, nonostante tutto, per il futuro ci toccherà sempre tirare a campare. Già, perché nonostante i proclami, i redditi di cittadinanza, i finanziamenti per i giovani, il nostro domani, anzi il vostro, resta cupo quanto un lunedì di tempesta.

E se sarà vero che arriverà il reddito di cittadinanza, forse, sarà anche vero che non tutti, pur facendo assai comodo, vogliano restare dei disoccupati “campati” dallo Stato.

Entriamo un attimo nel dettaglio. Parliamo ad esempio dei contributi alle imprese o per i giovani che vogliono mettersi in proprio. Tutto nasce dall’inganno e dalla farlocca idea che il lavoro “lo si deve creare”. Vero, siamo tutti d’accordo su questo, ma come si fa?

Partiamo dal primo punto. I soldi che vengono messi sul piatto, possono bastare per uno sparuto numero di persone, mi pare pure ovvio, ed è assai improbabile che tutti i fortunati possano avere delle idee geniali o capacità tali da riuscire nell’intento di mettersi in proprio.

E vabbè, mettiamo il caso che siete tra questi, se anche la metà di voi, ma lo trovo impossibile, riesca nelle idee, l’altra metà teoricamente potrebbe assumere gli altri. Minchiate. 

L’avvio e la stabilità economica di una nuova impresa, in media, è stimato in tre anni. Quindi, se non siete tra le aziende che nel 90% dei casi fallisce, difficilmente riuscirete ad assumere personale prima del triennio.

Eppure la favola dell’autoimprenditorialità nasce più o meno su questi propositi. Viene pubblicizzato un vortice di denaro enorme al quale tu, cittadino senza alcuna speranza, potrai accedere con facilità al fine di realizzare il tuo sogno. Minchiate bis.

Se infatti i fondi sono realmente disponibili, anche se poi vedremo quanto alcuni di questi siano presunti, vengono distribuiti con dei bandi pubblici a cui però non possono accedere tutti. E qui c’è già il primo inganno. Se sono per tutti, debbono poterci accedere tutti.

La prima fetta di aspiranti imprenditori infatti, nella stragrande maggioranza dei casi non può accedere ai contributi poiché incapaci di supportare il carico a loro spese più il 22% di iva.

Mi spiego meglio.

La quasi totalità dei bandi invero, chiede come requisito che la “persona” che presenta domanda, sia in grado di supportare alla richiesta un co-finanziamento che in genere va dal 20 al 25 % dell’importo totale del progetto, oltre appunto le spese d’iva che non vengono mai finanziate, ergo su 100.000 mila euro, 25 mila del totale richiesto, più il 22% d’iva su 100mila, altri 22 mila euro.

In buona sostanza se non c’hai i “sordi”, non ti avvicinare neppure.

Alcune persone, per partecipare accingono ai fondi di famiglia, che in molti casi non sono neppure sufficienti. Cosa significa questo? I soldi ci sono, ma soltanto per quelli che c’hanno già i soldi. E a casa mia si dice: “picciuli cu picciuli”. Soldi con soldi, infatti se vuoi provare a fare soldi in Italia, attualmente devi avere già i soldi.

Se non bastasse, questi finanziamenti, per essere approvati poi ti richiedono fideiussioni o garanzie di “altro genere”, e per altro genere, visto che siete dei nullatenenti, significano i vostri genitori.

Quindi se c’hai una idea e non c’hai i soldi, chiedi a mamma e papà di farti da garante.

Ma se io c’ho genitori facoltosi, perché devo rivolgermi ad un bando? Ovvio, chi ha il genitore facoltoso, può richiedere dei soldi, pubblici, che alla fine della fiera possono anche perdersi in un progetto del cazzo, gli altri invece “fanculo”. Si attacchino alla canna del gas. E visto che il 90% di queste imprese fallisce, allora perché affidarla a dei nullatenenti?

Inutile quindi aggiungere che suddetti finanziamenti non aiutino la classe meno borghese di questo paese.

Sono un incentivo offerto esclusivamente a ragazzi e ragazze che possono, sprecare denaro, con idee di merda che non muoveranno di un millimetro l’economia di questa nazione e figuriamoci il lavoro.

Tutti gli altri no. Per loro non c’è neanche la speranza.

Reddito di scimunitanza

reddito di scimunitanza

Trasformare la questione del reddito di cittadinanza in reddito di “scimunitanza” sta sinceramente facendo scadere qualsiasi ragionamento post voto.

Questo fatto che il m5s sia stato votato esclusivamente per la misura appunto del reddito è una bufala a cui solo degli stupidi allocchi possono credere. Intanto chiariamo un punto: al sud non siamo degli imbecilli.

Non voglio schierarmi ne con loro ne contro di loro, ma a conti fatti, nel mezzogiorno gli unici fin qui ad aver fatto assistenzialismo sono la Dc e gli eredi nostalgici di quel sistema di potere. La ragione però su cui mi concentrerei è poi una sola: auto-sostenersi è un diritto!

Non è un privilegio pensare di campare. Non una volontà per scansarsi il lavoro.

Continuare a parlare di assistenzialismo in termini dispregiativi mi fa ribrezzo, e anche sinceramente orrore. Prima gli italiani, che non è sicuramente uno slogan del “movimento”, passa anche da un presupposto: gli italiani debbono stare meglio!

Per farlo hanno bisogno di lavoro e reddito certo. Se le case sono sfitte, se i negozi sono vuoti, se non c’è lavoro è perché non circola denaro, non perché si pensa agli immigrati.

Sono concetti elementari, banali. Quando tutti, dal nord al sud, vi troverete senza un lavoro, perché nessuno è disposto a pagarvi, auguratevi che qualcuno abbia a cuore di sostenervi, pagare la vostra birra e se avete avuto coraggio, le spese della vostra famiglia.

Insomma auguratevi che almeno la politica si curi di voi.

Storie di ordinario fascismo

storie di ordinario fascismo - nonni

Diciamocelo, il ritorno del fascismo è irreale, ma i fascisti no.

Ci saranno sempre.

In quest’Italia, e non solo, cI sarà sempre quella voglia di tornare ad una dittatura; morale, fisica, violenta. Potrà essere di parole, speriamo mai di fatti, ma quella voglia, quel sentire, che chiamiamo “fascismo”, forse, non è ancora stato debellato. E’ una legge fisica di ritorni, di ricordi e di profonda immaturità di questo paese.

E’ una storia  di famiglia, sconosciuta, forse, anche alla diretta interessata.

Ricordo gli ultimi mesi prima della nascita di mia sorella Claudia, la piccola. Siamo nel 1989 e mio nonno, anche lui Carmelo, contadino e di sinistra, che aveva vissuto gli ultimi anni del ventennio a Roma, presso il Ministero degli Interni, intento nel supplicare mia madre sulla scelta del nome della nascitura.

Io non capivo, ma leggevo una strana tensione nella sua voce, avevo poco più di 9 anni, ed era per me insolito assistere ad una discussione del nonno preoccupato per cose così “stupide”.

Miriam, era il nome designato per la prossima della famiglia e ricordo lo sbigottimento e le risatine alle parole di mio nonno: “tu non puoi sapere” diceva, “non lo puoi sapere se un giorno torneranno i nazisti ed i fascisti!”

Evitate, non vi costa nulla.

Sembravano parole irragionevoli, dette da un nonno in preda ad un terrificante ricordo da emigrato in Germania e poi costretto dai fascisti a vivere a Roma per campare. Le parole di un folle anziano che aveva fatto la guerra, la seconda e che nella prima ci aveva perso un fratello. Un vecchio, che non si rassegnava al progresso, al nuovo, al futuro. Soprattutto nei mesi successivi alla caduta del muro di Berlino.

Eppure, lette adesso, fanno quasi paura. Fa tremare le gambe non vedere l’uomo imparare dagli errori, anzi, dall’orrore.

L’orrore che faceva vivere i nostri nonni, che il ventennio lo vissero con la fame e la povertà, nel ricordo e col presagio di un futuro di ritorno.

Ecco, forse loro gli italiani, quelli “veri”, li conobbero sul serio e 45 anni dopo ne avevano ancora paura.

A tutto campo amico mio

a tutto campo amico mio

Eroi a tutto campo con l’avvicinarsi del 4 marzo. Mancano poco meno di 10 giorni al voto. Candidati di tutti gli schieramenti, pochi, decidono di incontrare la gente.

a tutto campo amico mio
Io che do un consiglio per gli acquisti

Mi capita sempre più spesso di partecipare ad incontri elettorali dove oratori spregiudicati, alcuni anche pregiudicati, illustrano la propria storia politica, morale e intellettuale con un tocco di eroismo che manco la Marvell ha mai osato immaginare per i propri personaggi.

Ci sono candidati che hanno condiviso il letto con Lady D., imbiancato la Casa Bianca, illuminato gli Illuminati, montato coi lego la cappella Sistina, cantato l’italiano con Toto Cutugno, sbagliato un congiuntivo con Di Maio, raddrizzato la torre di Pisa, spiegato la bibbia a Dante e per ragioni di tempo non sono stati sbarcati sulla Luna, ma che stanno risolvendo con ampie sessioni di video montaggio notturno.

Foto tratta dalla pagina dei Socialisti Gaudenti

Insomma, fanfaroni dall’ego esagerato.

E’ facile, li riconoscerete con poca difficoltà. Terminano e cominciano le frasi con “Io” ed in mezzo illustrano l’ampio arco di amicizie coltivate nel tempo. Praticamente si raccontano come dei “Forrest Gump” consapevoli e con più talento.

Hanno la soluzione per ogni emergenza, ma ci avevano pensato prima degli altri. S’intendono di tutto e soprattutto di più. Di chi, non si sa.

salvini mangia banane
Salvini mangia banane e pubblica sul suo fb.

Durante le campagne elettorali riscoprono il mare, il turismo e la freschezza della montagna, assaporano sapori bio e dal gusto a km zero, sorseggiano vini frizzanti prodotti nei giardini di casa, aprono chiese con la sola imposizione dello sguardo e snocciolano dati manco se fossimo al dopo cenone di natale con il cesto di frutti secchi di circostanza.

Insomma ci siamo capiti.

Se vi capita di incontrali, individuarli o persino conoscerli, sappiate bene che sono i primi da non votare per le stesse ragioni per cui vi chiedono il voto.

Le campagne elettorali sono diventate così: vuote e piene di pazzi.

Si voterà a Marzo nel segno dei pesci, qualcuno si è improvvisato candidato ed ha lanciato un’esca nel mare.

Voi, non abboccate.