Il 19 agosto 2020 alla Casetta Rossa di Viale Impellitteri, si presenta a Isnello “645: Una storia d’amore ritratto di un’epoca” di Carmelo Di Gesaro. Insieme all’autore interverranno il Sindaco di Isnello, Marcello Catanzaro e Luciana Cusimano. Modera il giornalista palermitano e autore de Il Malvagio Pensiero Giovanni Scarlata. Letture dal vivo di Giuseppe Spignola!
Sei, quattro, cinque, è una storia d’amore fatta di dialoghi immaginari, “dialoghi sordi” e sentimenti che non trovano corrispondenza. Questa non è la storia di due persone soltanto, i personaggi alle volte non hanno nome, sesso, luogo o tempo esatto. È un racconto introspettivo che ripercorre, in un lungo fotogramma, il quotidiano di un uomo innamorato.
Amy Winehouse con la sua voce calda, avvolgente, ti accoglie come un abbraccio appassionato; nella sua breve vita è riuscita a fare innamorare il mondo. Artista straordinaria, con un look da far girare la testa, è diventata la colonna sonora degli aperitivi più blasonati e degli uomini in amore.
Il suo unico difetto? Aver dato vita alle cosiddette Emowinebar, improbabili emulatrici seriali che a guardarle bene sembrano un prodotto tipico della via dei presepi di Napoli.
Fino ad ora, nella lotta al coronavirus, al rispetto delle regole, tutto sommato, la città di Palermo aveva mantenuto una sua dignità. Certo, ripensandoci, allo scattare dell’allerta nazionale sono stati presi d’assalto i negozi h24. Poi qualcuno ha alzato il tiro volendo saccheggiare i supermercati e adesso, giusto per non farsi mancare nulla, siamo alle feste e grigliate sui tetti. Ora, oltre alla discutibile scelta di arrostire sul tetto di un palazzo, che non mi stupisce più di tanto poiché già visto in tempo di pace, queste persone non tengono in conto il fatto che i tetti non sono progettati per essere calpestati in massa e per farci balli di gruppo, mettendosi dunque pericolosamente a rischio.
Nell’immaginario collettivo, quando qualcuno racconta di essere siciliano la prima cosa a cui ti associano è il cannolo. Di per sé la cosa non sarebbe male: questa nuova associazione di idee stereotipate sui siciliani, infatti, ha ribaltato una classifica che noialtri non gradivamo tanto.
Ce n’è voluto di tempo, ma alla fine la ricotta ha dominato su tanti altri luoghi comuni sulla Sicilia e la sua gente! Quindi, quando dico che vengo dalla Sicilia, sottintendo cannolo. E’ una formulazione di pensiero automatica che ormai è evidente persino a me, che fino a vent’anni non apprezzavo nemmeno questo capolavoro della pasticceria nostrana. Ancora adesso non saprei spiegarmi il perché di tale ragione, ma dopo i vent’anni ho scoperto di aver perso un pezzo importante della gioventù, come quando sei fidanzato per tanto tempo e lei alla fine ti lascia per uno appena incontrato sul treno.
Ecco quell’amarezza lì che però ho superato nel Natale 2001, proprio dopo aver rotto con la mia ex – vedi il caso – quando per la prima volta sono entrato nel trip della ricotta di pecora mescolata in un’alchimia con zucchero e gocce di cioccolata, e confezionata ad arte all’interno di una cialda croccante e fresca, che al solo morso ha cancellato due anni di inferno e regalato la felicità eterna di una nuova dipendenza.
Il cannolo di Piana degli Albanesi da allora è la mia “droga dolce”! Girano tante leggende sui cannoli di Sicilia, tipo che il dolce chiamato cannolo di Dattilo (TP), sia il migliore: tante storie a mio avviso narrate per creare un senso di concorrenza che in realtà non esisterà mai. Perché semplicemente nella mia regione ogni provincia ha le sue peculiarità a cui il cittadino resta legato e affezionato sia in terra natale che al di fuori di essa.
“Il Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien, presumibilmente è stato pensato in Sicilia ed in particolare ispirato ad uno dei principali pastai di Palermo. Non trovo altra spiegazione al fatto che l’unica regione d’Italia in cui si trovano e si consumano gli anelletti di pasta, sia la nostra. Eppure, nonostante questo, i pastifici più antichi e importanti del territorio, lottano con la crisi di questo nuovo decennio e purtroppo, tanti hanno chiuso o stanno per chiudere i battenti.
Nonostante questo, la pasta al forno, anzi, gli anelletti al forno alla palermitana, e sottolineo alla palermitana, non cesseranno mai di esistere, un po’ come la mia fame.
Se dovessimo fare un’intervista all’anello, sicuramente si vanterebbe delle sue tante qualità; la sua perfezione circolare, lo spessore corposo, la resistenza al forno, il suo essere tutt’uno col pisello, un saturno sui nostri piatti.
Cremosa, saporita, gelatinosa, arricchita con caciocavallo grattugiato e prezzemolo fresco: la pasta con la glassa è, senza che nessuno si offenda, il mio primo preferito!
Già con il nome “glassa”, questo piatto si presenta agli avventori come qualcosa di succulento e appagante, ma al di là di ciò che state pensando, con glassa palermitana non ci si riferisce al bianco zucchero che ricopre tanti dolciumi locali: è infatti un sugo che nasce dal recupero di un secondo piatto a base di carne, l’aggrassato – anche conosciuto come agglassato.
La glassa invero è il risultato di uno spezzatino di manzo e patate che, sfilacciato a dovere e ben intriso di liquidi, muta dal suo aspetto primario a tocchetti in una sorta di crema lucente e profumata, di color oro, che si presta perfettamente a divenire parte di una nuova ricetta.
Un parallelepipedo dal colore superficiale ambrato, piccante ma soprattutto emozionante al palato: il caciocavallo palermitano o “di Godrano” è certamente meno noto del cugino ragusano, seppur, con le dovute proporzioni, amato in egual misura nella città di Palermo e nei suoi dintorni.
Inconfondibile per il suo sapore ricco e deciso, riconoscibile dalla sua fragranza unica, il caciocavallo è davvero un formaggio immancabile nei piatti della cucina panormita.
Il “Godrano” – paese della provincia di Palermo da cui prende la denominazione – è ottenuto grazie alla lavorazione di latte vaccino di mucca autoctona, meglio se “cinisara”. Prodotto riconosciuto “tradizionale”, poiché lavorato con strumenti della tradizione, inserito nel presidio “slow food” ed in fervente attesa del riconoscimento DOP.
Ciccio Cascio, Gianfranco Miccichè, Dore Misuraca e Diego Cammarata; i 4 temuti esponenti palermitani che formavano il “club delle menze maniche di camicia bianca” si è ormai definitivamente sciolto.
Quel che resta di un sistema di potere e aperitivi rinforzati, si è ormai dissolto come un candeggio riuscito male. Lo dicono i fatti, lo dicono le cronache, lo dicono anche le lettere di “suo pugno” (Leggi alla voce Diego Cammarata in fondo al pezzo).
Tra la fine degli anni ’90 e la fine del primo decennio del duemila, questi quattro, erano, insieme a Ciccio Scoma, che è un po’ il Riccardo Fogli di questi Pooh della politica, i padroni di Palermo.
Lo dicevano numeri e incarichi, lo dicevano interviste e ruoli di potere.
Erano il cavallo bianco di Napoleone di quel sessantuno a zero che rese Miccichè il P.R. indiscusso della Sicilia e Berlusconi il capo del Governo.
Il blocco del “qui si può”, per parafrasare un noto pezzo dell’alter ego musicale, in grado di eleggere sindaci e amministrazioni premiando uomini per il solo merito essere amici.
Dominavano e fagocitavano le folle con l’arma dei sorrisi ammalianti e delle abbronzature alla Miami Vice.
Tenenti di un esercito del destino dal petto villoso, di una guerra giocatosi tra il tennis club e le serate danzanti nel cuore della città cementificata.
Quel tocco di esotico vippismo che tanto piace ai “Miserabili” e principalmente ai miserabili con tessera Vip, che per un decennio e non solo, hanno consentito a Forza Italia di essere bello e sciccosissimo tempo.
Lo so, la mia è una affermazione forte e forzata, ma scremata dalla licenza letteraria, alla fine, tutti ricorderanno ciò che sto descrivendo, senza avere necessità di un “rinfresco di memoria”.
Ma come ogni storia da alcolista insegna; dopo una sbornia, arriva sempre un mal di testa fortissimo. Ecco dunque giungere una discesa, quasi una serata da settantenne che ha dimenticato il viagra ad un’orgia di potere, che noi chiameremo più semplicemente: secondo decennio del duemila.
Una nuova (!?) generazione di giovani marmotte a mezze maniche, capeggiata da Angelino Alfano (ex forzista) e Matteo Renzi (ex margherita) formavano un sodalizio che in pochi mesi avrebbe saccheggiato quel che restava degli ormai defunti partiti.
Con una sorta di shakerata post elettorale infatti, avrebbe preso il potere, aggiungendo all’indigesto cocktail una fetta di limone, i democristiani dispersi. Avrebbe anche diviso il potere con la formula dei grandi portatori di voti e accontentava le masse, bramose di cambiamento. Praticamente una selezione della differenziata, mettendo nel sacco l’utilizzabile e lasciando filtrare l’umido nel sottosuolo.
Da quel momento, coinciso con la caduta del secondo impero silvista, il quattro bianchi di Palermo ha smesso di essere gruppo, di essere blocco, di essere aperitivo esclusivo. Divisi un po’ di qua e un po’ di la. Soli, come uno “Ius” in casa Meloni, rimasti senza cordone e paletti a dividere i belli dai brutti, i sorrisi dalle coltellate, i fighi dai fiaschi, i pettinati dagli spettinati.
Ma il sottosuolo tutto ciò che assorbe, prima o poi, lo sputa fuori. A piccoli spruzzi infatti, ecco tornare di scena vecchi simboli e partiti per coagularsi sotto al sole caldo della disfatta dei nuovi Marescialli dalle maniche arrotolate. Renzi e Alfano insieme sono durati meno di una prestazione occasionale, di un lavoratore a voucher o di un po’ di sesso al telefono con l’199 che poi costava caro e dunque meglio “venire” subito. Una coppia di oggi, sposata, ma pronta a divorziare alla prima avance dall’esterno.
Forza Italia dunque, lentamente, tornava ad esistere e con lui vecchie glorie ringalluzzite a sperare. Berlusconi, sempre lui, sul posto a riassegnare medaglie al valore. Miccichè, dimenticato nell’angolo come una “babe” qualsiasi, piano piano, a riorganizzare le truppe, vincendo, alla prima occasione, le bislacche elezioni siciliane.
E man mano che le elezioni nazionali si avvicinano, rientrano in squadra quasi tutti: compresi il numero due Cascio ed il riporto Schifani.
Torna a parlare persino Diego (qui la lettera), il numero 3, scomparso ormai da quasi un decennio e sconvolto, persino lui, dalla decisione di uno dei bianchi, Dore, il numero 4, di entrare nel Pd.
L’uomo con la giacca sulle spalle, Misuraca, quasi un messaggio di allora per distinguersi nel club, infatti, ad un mese dalle elezioni decide di tesserarsi al partito democratico, folgorato, pensate un po’, dalla missione speranza e carità voluta dall’aggregato renziano sudato di Sicilia, Leoluca Orlando e Davide Faraone.
Il sintomo, questo, di una fine che non avrà mai fine, ma di un finale che varia a seconda della stagione.
Unico, immenso e irripetibile. Dalle canzoni con Alamia e Sperandeo, di cui voglio sicuramente ricordare “Fofò“, al cinema al teatro.
Burruano era l’espressività più estrema, la faccia del cinismo e la brutalità del Palermitano come noi soltanto lo conosciamo.
Strafottente, un po’ cafone (fingeva di esserlo), ed allo stesso tempo raffinato, di cultura, quella vera e di strada. Un grande, grandissimo caratterista che se ne va.
Un mito.
Eccezionale nel suo genere. Capace di far sorridere, sognare e incantare. Persino quando fu arrestato nel 2006, riuscì a sorprendere tutti; lo trovarono a sorseggiare una birra al bar, poco dopo aver accoltellato il genero, colpevole, disse, di esasperare la moglie e di non pagare gli alimenti ai tre figli. Finì ai domiciliari e patteggiò una pena a 16 mesi.
Lo perdonarono tutti e tornò sul grande e piccolo schermo.
Oggi, a soli sessantanove anni ci ha lasciato, con la certezza d’aver svuotato questa città della sua arte, della sua ironia.
La candidatura a Sindaco di Palermo di Ismaele La Vardera è destinata a diventare un episodio da biblioteca della memoria della fanta-politica cittadina. Tipo quella del Sindaco Isidoro*, alias Raffaele Sabato o di Tommaso Dragotto**, alias Tommaso Dragotto.
L’esperienza, nata sotto la spinta della caccia alle streghe civica “contro i Golia” della politica, si è via via mutata in un assembramento di sigle a destra e sempre più a destra fino a Salvini, conclusasi poi con un giallo tutt’ora irrisolto: era un candidato reale o un esperimento pagato da mediaset?
E se già non fosse sembrato strano un candidato sostenuto fortemente dalla Lega Nord a Palermo, la querelle legale nata a seguito della scazzottata con Francesco Benigno, l’ha trasformata in un thriller alla Dan Brown.
Su questo, un giorno, chiaramente, si esprimerà definitivamente la magistratura, a cui tutti si sono poi rivolti per tutelare un pezzo di “sé” o di “io”.
Ad oggi intanto sappiamo che un giudice ha attribuito una ragione ad Ismaele e condannato l’ex Assessore Alessandro Pagano al pagamento delle spese legali.
Pagare e sorridere.
Ma chi è sto Ismaele La Vardera?
Ismaele deriva dall’ebraico “Yishma’el” che significa letteralmente “Dio ascolta”. Nella variante palermitana confuso con l”antico detto: “U signuri t’accumpagna” (il signore t’ accompagna).
Lo conobbi durante una campagna elettorale nel 2013. Stavamo dalle parti del comitato di Michela Stancheris allora candidata alle elezioni Europee, di cui facevo parte, e si aggirava in qualità di “responsabile stampa” di un artista che fu protagonista dalla “Maria Nazionale”. Sicuramente di quell’incontro non se ne ricorderà, ma tra un ammiccamento, un sorriso a favore di telecamere che non ci ripresero mai, diventammo “amici”. Ma non della De Filippi. Lo rividi durante il periodo elettorale durante qualche incontro. Gli chiesi il solito selfie per il mio archivio “amico mio” e nulla più.
Ismaele a questo giro faceva parte del gruppo dei candidati dalle voce bianca, cioè quelli che che si candidano sapendo di non centrare l’obiettivo del 5%, la soglia minima per ottener e dei consiglieri comunali. E’ giovane, anzi giovanissimo, tanto da far venire una crisi di gioventù e un brufolo sulla fronte a Ferrandelli.
“Contro i Golia”, foto “arrubbata” a Repubblica Palermo
Ma La Vardera o come lo chiamano tutti, Ismaele La Vardera, non è nuovo alle candidature; Ecco infatti che, durante una delle mie ricerche per casa, spuntare fuori un volantino del 2014. Era ancora più giovane ed il ciuffo stava ancora spalmato, nascosto, come un qualsiasi ragioniere di provincia. E’ curioso, ma già all’epoca, il 2014, dovevo essere stato folgorato dal ragazzo, infatti lo fotografai col mio cellulare fino a ritrovarne traccia proprio adesso. Destini.
Identificato dai più per i capelli rossi, è un comunicatore, di quelli che fanno la televisione commerciale. Nel suo recente, breve, passato può vantare la partecipazione da inviato alla trasmissione “Le Iene” e l’iscrizione all’ordine dei giornalisti. Un modello, quello legato alla campagna elettorale che già all’epoca mi ricordava l’organizzazione di una trasmissione da proporre su Italia uno (lo ricorderanno i pochi amici a cui feci leggere le bozze di un articolo che non pubblicai mai). C’erano infatti tutti i presupposti; personaggi, musichette accattivanti, attori, nani da giardino, professionisti della ripresa, Giorgia Meloni e persino Ignazio La Russa. Manco fossimo agli “Sgommati”!
Forse è anche per questo che si è messo a studiare.
Il primo risultato, ad esempio, fu imparare a copiare, ma era il programma del Sindaco di Segrate (Mi). Vabbè, un errore. Qualcuno però se ne accorse e avvisò i giornali (non si capii mai come andarono le cose o meglio, non ci riuscii io. Qui la cronaca di quei giorni).
Successivamente applicandosi con la matematica, in particolare con gli insiemi, ci accorgemmo tutti del talento.
Presentando infatti il simbolo della campagna elettorale: un cerchio con dentro altri tre cerchi che rappresentano altri simboli, scoprimmo la particolare propensione nel mettere insieme le cose, così come le persone. E siccome la matematica non è un’opinione, a differenza in ogni caso del voto, ne tennero conto persino gli elettori.
Ma nella logica degli insiemi, Ismaele, è riuscito a fare miracoli. In poco meno di un mese, è riuscito a portare a sé personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura quali, Francesco Benigno, Totò Borgese e persino Zoccola, che non è una mestierante, ma l’assessore ai rifiuti di Casal di Principe. Mica pizza e fichi.
Il ragazzo comunque si applica, ma può dare di più.
Ed è nella lettura dietro alla telecamera che si fa spazio il suo talento. Tipo quando in risposta al leader del carroccio Salvini, che in tv aveva proposto una possibile alleanza su Palermo, rispose, citando Gesù: “Io non ci sto!” E infatti uno dei tre loghi dell’insieme fu proprio “Noi con Salvini”.
Amunì dai, Salvini, come richiesto dallo stesso Ismaele, ti sarai scusato sul tuo passato di dichiarazioni sui siciliani.
Vero?
No!
Vabbè, ora però stai puntando il dito! Penserete voi…
Si presentò alla città dicendo di non saper fare il Sindaco, oggi, tenne a specificare, e noi, palermitani, che siamo persone che premiamo la sincerità, ce ne ricordammo. Il Sindaco infatti non arrivò a farlo, raggranellando comunque seimilacinquecentonovantasei preferenze (2,79%).
Ma a dar luce alla lista furono due candidati che si rivelarono delle belle realtà, uno molto noto e citato già poche righe fa, Francesco Benigno, l’altro, noto agli addetti ai lavori, tale Francesco Vozza, leader del carroccio palermitano, praticamente “un arancino” a Palermo.
Commento di Francesco Benigno sulla rissa
Con Francesco Benigno, l’idillio amoroso, fatto di video e selfie finì con una scazzottata che fece scaturire poi l’indignazione della coalizione a cui entrambi appartenevano. Motivo della lite, disse all’epoca l’attore, fu la presunta rivelazione fattagli dal giornalista e cioè, che la candidatura fosse in realtà un mezzo per conoscere e riprendere fatti e segreti di una campagna elettorale, da mandare poi in onda, sotto forma di documentario.
Benigno, raccontano le cronache di quei giorni, non prese bene la vicenda e non prese bene neppure il risultato, 156 preferenze personali. E per dimostrare che in effetti lui era “per dare voce a chi voce non ha, ma ha molto da dire”, mettendo in pratica il suo successivo slogan “abbattiamoli”, quella sera del 14 di giugno, deve aver reagito secondo coscienza (qui). Scrisse in seguito sulla sua pagina facebook, il 20 giugno, “tutti a rimproverarmi per avergli dato solo uno schiaffo e pensandoci forse avete ragione, ma preferisco che lo faccia la giustizia”. Insomma, una semi ammissione, dopo le prime dichiarazioni che smentivano quanto raccontato dall’ex Iena ai carabinieri e alla stampa, e che comunque aveva sempre giustificato quale reazione ad una presunta aggressione alla compagna.
Vozza, che ha anche un blog che vi invito a leggere (francescovozza.net), invece fu il più polemico sulla stampa e sui profili personali (qui alcune notizie). Inizialmente indicato quale possibile candidato a Sindaco dal suo partito, “Noi con Salvini”, venne spossessato dell’opportunità sulla scia dell’irriverenza mostrata da Ismaele.
Ma fu una sua dichiarazione contro un candidato di Sinistra Comune, tale Md Alamin, immigrato e residente a Palermo, che lo fece balzare agli onori della cronaca e riprendere dallo stesso La Vardera (qui). Una polemica che si chiuse con le scuse dello stesso Vozza, ma che inasprì di molto il rapporto tra i due. Come si capii dopo la scazzottata.
Finite dunque le ore della campagna elettorale e del post rissa, di Isma e dei suoi non si sa più nulla, fino ad arrivare ad oggi.
Buttana ra miseria! Ci futtieru a Lapa!
Io, Ismaele, Giorgia Meloni e la Lapa durante un evento elettorale al Politeama
Questa mattina (7 settembre 2017), infatti, Palermo si è svegliata con la notizia, terribile, del ratto della Lapa che il prode Ismaele aveva portato in giro per la città. La stessa sulla quale si accomodarono le chiappe di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Ignazio La Russa. La stessa che fu mezzo di trasporto da esibire lungo i giorni che separarono la città al voto.
Uno sgarro, che il Rosso questa mattina ha denunciato anche pubblicamente.
“Signori ladri togliete almeno gli adesivi con la mia faccia!” scrive sul suo profilo facebook.
Che poi dico io, vi futtite ‘u lapino ca so facci?
Ma cu quali coraggio?!?
Note:
* Raffaele Sabato, il Sindaco Isidoro
Caratterista e noto cabarettista palermitano, sfidò la politica palermitana con una lista chiamata appunto “Sindaco Isidoro”, personaggio dei suoi spettacoli, che racimolò alle elezioni del 1997, vinte da Leoluca Orlando (58,6%), secondo Gianfranco Micciché (35,3%), lo 0,65% dei voti, cioè 2305 preferenze. Attenzione, duemilatrecento preferenze possono sembrare poche, ma viste oggi, raffrontate con i dati delle ultime comunali, sono percentuali che coalizioni ben più abbondanti e “serie” non raggiunsero mai.
** Tommaso Dragotto
L’imprenditore con la passione della politica, oggi sponsor del Palermo Calcio. Nel 2012 fondò il movimento “Impresa Palermo” che sfidò, Leoluca Orlando (sempre lui!) e Fabrizio Ferrandelli, racimolando appena 1985 preferenze (circa quattromila le liste), nonostante l’esborso milionario e personale, così si narra, per la campagna elettorale. Un’esperienza che lo turbò e lo fece arrabbiare molto, e che non ripeté più. Almeno fino ad oggi.
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