Il Governo c’è. E gli altri (partiti)?

E gli altri?
E gli altri?
Io e Mario Borghezio nella stessa stanza

Amici miei!!!

E’ nato il Governo del cambiamento e dei punti esclamativi! (!!111!!!)

Giubilo e gioia sui social. Commossa la “gente”, il “popolo del web” ma anche la “base”, tutte figure liquide che completano lo scenario da fantapolitica di questi ultimi anni. Con loro, a sorridere, ci sono anche identità reali, i signori dei partiti della tradizione che, nel momento del rifiuto di Giuseppe Conte, hanno vissuto uno psicodramma dal finale certo: l’estinzione.

Tra questi, se la ridono e respirano con sollievo infatti”gli altri”, gli abitanti sospesi del nuovo “Tempio del popolo” a Roma. Liberi e Uguali, Partito Democratico, Forza Italia e Fratelli D’Italia dunque, prendono fiato, sapendo di aver superato quelle ore di terrore per il ritorno alle urne che nella migliore delle ipotesi avrebbe avuto l’effetto di un “suicidio” di massa.

Nel frattempo, a mente serena, scampato il “pericolo”, sono pronto a raccontare alcuni scenari che, sotto la spinta del “cambiamento”, hanno preso forma al di là del fiume, cioè fuori dai partiti “vincitori” (Lega e M5S) di questo primo round della terza Repubblica.

Ipotesi finora soltanto ventilate adesso sembrano più che concrete con “drammi” consumati ed “importanti” mutazioni di scenario. E se immaginate anche solo lontanamente quello che penso, in questi ultimi tre/quattro giorni vi sarete resi conto che alcuni “capitani” nel mezzo della tempesta abbiamo lasciato le navi in difficoltà mentre altri siano rimasti più o meno saldamente a bordo.

La sinistra di “Leu“, Liberi e Uguali, non ha praticamente preso parte al dibattito sul nuovo Governo. Certo non ne avrebbe avuto modo visto il risultato ottenuto alle ultime elezioni. Eppure, in qualche modo, qualche timido tentativo è stato fatto ed è risultato il solito: la divisione per tentare di sopravvivere. Si è già compreso che il percorso dell’aggregazione infatti è pressoché finito.

Qualora fosse necessario o vi interessasse sul serio, passate a leggere i commenti di alcuni dei loro leader, Brignone, Bersani e Fratoianni tra gli altri, che quando ormai tutto ci ha fatto concludere che saremmo potuti andare al voto tra la fine dell’anno e quello nuovo,  s’erano già svincolati dagli altri.

In realtà non c’è neanche bisogno di analizzare in modo più approfondito i fatti per comprenderne i motivi. Se si andasse al voto per Liberi e Uguali si profilerebbe “l’en plein” di perdenti. Tutti fuori. In definitiva però, si è ormai certi che Possibile, Sinistra Italiana ed Mdp siano orientati a prendere strade diverse da quella che li portò al disastro di marzo. Voci di corridoio infatti insistono sull’ipotesi che Mdp sia pronta a rientrare nel Partito Democratico, mentre per SI e PO si profilerebbe un nuovo impasto con altra sigla, tentando magari di inglobare l’1,5% di Potere al Popolo. La solita minestra in alternativa alla finestra.

Il Partito Democratico continua la sua strategia d’estinzione, come quei fan della roulette russa. Ostaggio del suo ex-segretario Matteo Renzi e vittima di una inadeguatezza d’azione difficilmente potranno mutare le sorti in vista della prossima campagna elettorale.
Pur avendo scelto Maurizio Martina quale nuovo reggente, in attesa del congresso, l’ex premier democratico continua in ogni caso a spadroneggiare come un invasore arroccato sulla torre, interferendo costantemente sulla linea e sulle scelte del partito.

È stato così per esempio nei giorni del primo giro di consultazioni al Quirinale, quando parve possibile, vista la situazione instabile lasciata dal voto, un governo Pd-M5S. Un momento che eccitò gli animi di alcune correnti democratiche ammosciando allo stesso tempo quelle degli stellati, ma che si schiantò preventivamente sulle dichiarazioni in diretta televisiva di Renzi, che si oppose fermamente all’ipotesi senza dibattito alcuno e chiudendone di fatto la possibilità.

Il Pd vegeta in una nuova stagione senza leader e con molti capi, che si concluderà con un ulteriore pessimo risultato elettorale e probabilmente col definitivo crollo del centro sinistra italiano ma con Bersani e D’Alema che intanto torneranno a rivendicarne la sconfitta.

La simpatia che tutti proviamo per il nuovo Berlusconi, 81enne, un po’ “svalvolato” e sempre meno inibito, nonché la sua riabilitazione non fermeranno il grande esodo che colpirà Forza Italia. Quello di Silvio infatti diverrà il primo partito migrante della Terza Repubblica. Gli indicatori ci sono tutti, da tempo la Lega è decisamente la nuova terra promessa, Salvini il messia. Il che poi sembra un paradosso da commedia dei pupi, fa ridere pensare ad un Salvini che accoglie. Chissà se il neo Ministro dell’Interno avrà qualcosa da dire su questo genere di rotte.

Infine Fratelli D’Italia. Il partito di Giorgia Meloni resiste, forse l’unica resistenza attualmente attiva in questo paese. Resiste ma non alle tentazioni. Nel giorno del No a Paolo Savona infatti fu la prima a lasciarsi tentare dall’Impeachment per Sergio Mattarella, poi anche la prima a tentare di entrare nella lista dei Ministri del giorno dopo, quella del sì a Giuseppe Conte. Ma Giorgia è così, prendere o lasciare. Il suo partito è forse il più liquido che si conosca, con aderenti che vi transitano il tempo di una dichiarazione.

E questo, in vista di un nuovo “polo della libertà” potrebbe diventare un problema.

Chi voterà, vedrà. Nel frattempo, amici miei, fatevi avanti.

Effetto karma con molta karma

L’effetto karma, ma attenzione, con molta karma.

Le campagne elettorali ci regalano uno spaccato di uomini che girano come anime vaganti in cerca dei danni commessi da riparare.

Ecco, se fosse realmente così, vivremmo in uno spettacolare sistema perfetto, fatto di persone, sì, ma che contribuiscono a cancellare il danno creato.

Una sorta di karma della politica: ciò che ci ha tolto, verrà finalmente restituito con le elezioni successive.

Ovviamente non è affatto così, anzi, il politico ruota intorno al danno per scansarne gli effetti nocivi e se possibile causarne di nuovi.

Un “butterfly effect” infinito che vaga nel sistema sociale e che travolge all’infinito tutto ciò che trova sulla sua strada.

Lavoro, salute, flussi migratori, sicurezza e ancora università, diritto allo studio, diritto di sopravvivere e perché no, reddito di cittadinanza. Potrei continuare questo elenco in eterno e segnare tutto ciò di cui la politica, anzi, i politici, si disinteressano.

Argomenti che vengono alle volte anche trattati con soluzioni superficiali e demagogici. Basta pensare alla questione “migranti e sicurezza” o al famigerato “reato di femminicidio”, come se il diritto di restare al sicuro e in vita non fosse già insito nella nostra costituzione, nel nostro ruolo di cittadini.

Tutti, senza asterischi.

E allora avviamoci al 4 marzo con lo spirito depresso di sempre, la consapevolezza che per ottenere l’azione del karma c’è ancora tempo, anzi, tanta karma.

Karmissima.

Il club delle menze maniche di Palermo

CLUB MENZE MANICHE DI PALERMO

Ciccio Cascio, Gianfranco Miccichè, Dore Misuraca e Diego Cammarata; i 4 temuti esponenti palermitani che formavano il “club delle menze maniche di camicia bianca” si è ormai definitivamente sciolto.

diego cammarata scrive a doreQuel che resta di un sistema di potere e aperitivi rinforzati, si è ormai dissolto come un candeggio riuscito male. Lo dicono i fatti, lo dicono le cronache, lo dicono anche le lettere di “suo pugno” (Leggi alla voce Diego Cammarata in fondo al pezzo).
Tra la fine degli anni ’90 e la fine del primo decennio del duemila, questi quattro, erano, insieme a Ciccio Scoma, che è un po’ il Riccardo Fogli di questi Pooh della politica, i padroni di Palermo.
Lo dicevano numeri e incarichi, lo dicevano interviste e ruoli di potere.
Erano il cavallo bianco di Napoleone di quel sessantuno a zero che rese Miccichè il P.R. indiscusso della Sicilia e Berlusconi il capo del Governo.
Il blocco del “qui si può”, per parafrasare un noto pezzo dell’alter ego musicale, in grado di eleggere sindaci e amministrazioni premiando uomini per il solo merito essere amici.
Dominavano e fagocitavano le folle con l’arma dei sorrisi ammalianti e delle abbronzature alla Miami Vice.
Tenenti di un esercito del destino dal petto villoso, di una guerra giocatosi tra il tennis club e le serate danzanti nel cuore della città cementificata.
CLUB MENZE MANICHE DI PALERMOQuel tocco di esotico vippismo che tanto piace ai “Miserabili” e principalmente ai miserabili con tessera Vip, che per un decennio e non solo, hanno consentito a Forza Italia di essere bello e sciccosissimo tempo.
Lo so, la mia è una affermazione forte e forzata, ma scremata dalla licenza letteraria, alla fine, tutti ricorderanno ciò che sto descrivendo, senza avere necessità di un “rinfresco di memoria”.
Ma come ogni storia da alcolista insegna; dopo una sbornia, arriva sempre un mal di testa fortissimo. Ecco dunque giungere una discesa, quasi una serata da settantenne che ha dimenticato il viagra ad un’orgia di potere, che noi chiameremo più semplicemente: secondo decennio del duemila.
Una nuova (!?) generazione di giovani marmotte a mezze maniche, capeggiata da Angelino Alfano (ex forzista) e Matteo Renzi (ex margherita) formavano un sodalizio che in pochi mesi avrebbe saccheggiato quel che restava degli ormai defunti partiti.
Con una sorta di shakerata post elettorale infatti, avrebbe preso il potere, aggiungendo all’indigesto cocktail una fetta di limone, i democristiani dispersi. Avrebbe anche diviso il potere con la formula dei grandi portatori di voti e accontentava le masse, bramose di cambiamento. Praticamente una selezione della differenziata, mettendo nel sacco l’utilizzabile e lasciando filtrare l’umido nel sottosuolo.
Da quel momento, coinciso con la caduta del secondo impero silvista, il quattro bianchi di Palermo ha smesso di essere gruppo, di essere blocco, di essere aperitivo esclusivo. Divisi un po’ di qua e un po’ di la. Soli, come uno “Ius” in casa Meloni, rimasti senza cordone e paletti a dividere i belli dai brutti, i sorrisi dalle coltellate, i fighi dai fiaschi, i pettinati dagli spettinati.
Ma il sottosuolo tutto ciò che assorbe, prima o poi, lo sputa fuori. A piccoli spruzzi infatti, ecco tornare di scena vecchi simboli e partiti per coagularsi sotto al sole caldo della disfatta dei nuovi Marescialli dalle maniche arrotolate. Renzi e Alfano insieme sono durati meno di una prestazione occasionale, di un lavoratore a voucher o di un po’ di sesso al telefono con l’199 che poi costava caro e dunque meglio “venire” subito. Una coppia di oggi, sposata, ma pronta a divorziare alla prima avance dall’esterno.
dore misuraca
Forza Italia dunque, lentamente, tornava ad esistere e con lui vecchie glorie ringalluzzite a sperare. Berlusconi, sempre lui, sul posto a riassegnare medaglie al valore. Miccichè, dimenticato nell’angolo come una “babe” qualsiasi, piano piano, a riorganizzare le truppe, vincendo, alla prima occasione, le bislacche elezioni  siciliane.
E man mano che le elezioni nazionali si avvicinano, rientrano in squadra quasi tutti: compresi il numero due Cascio ed il riporto Schifani.
Torna a parlare persino Diego (qui la lettera), il numero 3, scomparso ormai da quasi un decennio e sconvolto, persino lui, dalla decisione di uno dei bianchi, Dore, il numero 4, di entrare nel Pd.
L’uomo con la giacca sulle spalle, Misuraca, quasi un messaggio di allora per distinguersi nel club, infatti, ad un mese dalle elezioni decide di tesserarsi al partito democratico, folgorato, pensate un po’, dalla missione speranza e carità voluta dall’aggregato renziano sudato di Sicilia, Leoluca Orlando e Davide Faraone.
Il sintomo, questo, di una fine che non avrà mai fine, ma di un finale che varia a seconda della stagione.