Con Antoci a Sant’Agata di Militello

Ieri a Sant’Agata di Militello (Me) 5mila persone hanno sfilato in corteo in solidarietà alle forze dell’ordine e al Presidente del Parco dei Nebrodi

Con Antoci a Sant’Agata di MilitelloSono le 9.30 di un sabato mattina di maggio, mi muovo velocemente in mezzo alla folla tra un dopobarba e l’altro, tra un alunno sorridente ed un anziano claudicante. Sant’Agata di Militello è in fermento, come non si vedeva dal 1992 ricordano alcuni cittadini. Ci sono facce, donne, uomini e ragazzi che si mischiano a fasce tricolore provenienti da tutte le comunità dei Nebrodi.

Tra loro, riconosco la Sicilia che sa ancora respirare il fresco profumo della libertà e della dignità. La stessa folla che non si nasconde dietro la viltà di uomini che colpiscono nella notte. Quei siciliani che apprezzano l’impegno e il coraggio di persone perbene, trasformati in eroi per il semplice fatto d’essere normali. Quella stessa Sicilia che sa emergere dal submondo di infedeli che la infesta. Come ha sempre e sottolineo sempre, dimostrato di saper fare.

Giuseppe Antoci, Presidente del Parco dei Nebrodi, la Polizia di Stato e i quanti potevano essere vittime inconsapevoli, le mogli, i figli, i cittadini, di quel vile attentato di mercoledì 18 maggio, sanno ancora di più di non essere soli.

I Siciliani sono con voi, a testa alta, come quei ragazzi di Tortorici che oggi sono intervenuti con più voce dalla piazza, sottolineando a polmoni pieni, che i Nebrodi non sono della mafia, che i suoi abitanti sono liberi.

Intervento di Vito Lo Monaco

Intervento di Fabio Venezia

Intervento di Tano Grasso

Intervento di Rosario Crocetta

Intervento di Giovanni Ardizzone

Intervento di Giuseppe Antoci

pubblicato su Possibile.com il 22 maggio 2016

Vittime d’eroi distratti

Terrore per creare vittime e generare eroi. Sembra questo il trend della nuova generazione, degli antimafiosi 2.0, dei parolai di questa nuova stagione

Il carro armato per demolire l’antimafia è partito. I suoi cingoli sono pronti a distruggere quanto di buono si è riuscito fin qui a costruire; sensibilizzare l’opinione pubblica e formare una interiorità critica. A guidare la retata di coscienza, un anonimo plotone disorganizzato, che da questa partita, forse, non è riuscito per tempo a guadagnarci qualcosa.

C’è un astio pastorizzato, polveroso, rancoroso, accumulato come solo il tempo sa fare nelle cantine dove si conserva il vino buono, che poi, una volta aperto, nasconde il sapore acido e nauseante dell’aceto.

E loro hanno saputo aspettare. Ora sfornano tonnellate d’articoli ed inchieste che puntano a misurare la forza di una “contro controintormazione” che sembra desiderosa d’erodere ogni giorno il margine positivo conquistato dopo gli anni di morte e dolore.

Forse si è persa memoria storica della Palermo anni ’80, di proiettili e lupare, immersa fino al collo negli “anni di piombo”. O forse, peggio ancora, se l’augurano quella città sangue e merda che fu Palermo. Perché si sa, ovunque ci siano vittime, nascono gli eroi.

E quindi uccidiamola sta memoria, uccidiamolo sto presente che sta consumando la piazza.

“Questa antimafia non ce l’ha fatta, rifacciamola!” è il nuovo mantra dei parolai. “Tanto vale provare a ripartire da zero” dicono, appunto quasi un auspicio al terrore che generò la schiera di eroi veri,che celebriamo ancora e, degli eroi distratti che ne compromettono l’insieme.

Lo so, è una grave e forte provocazione, la mia, ma di questo passo torneremo a respirare quell’aria, come se questo clima infame non ci bastasse ancora.

Si deve fare molta attenzione, il baratro é vicino. Siamo vittime della distrazione, compromessi, affranti, ma non si può tornare indietro, non si può tornare al passato.

E se Maradona avesse offeso San Gennaro?

Il caso Miccoli nei bar. Il paragone tra Maradona ed il leccese. E poi Falcone con San Gennaro

E’ una provocazione, è chiaro. Ma cosa sarebbe accaduto se Maradona avesse offeso San Gennaro? I Napoletani lo avrebbero cacciato probabilmente con ignominia!

Sembrerà strano, eppure questo interrogativo è venuto fuori dall’ascolto di una conversazione in un bar di estrema periferia di Palermo. Devo dire, con sincero compiacimento, che ho accolto la cosa con uno strano entusiasmo. A parlarne infatti, non erano salottieri professionisti, quattro persone di borgata che sorseggiavano birre e caffè.

All’inizio non capivo bene di cosa stessero parlando. In particolare non capivo perché i napoletani avrebbero potuto cacciare via Maradona. Un semidio a Napoli. Poi, ascoltando con più concentrazione, ho realizzato: paragonavano il Re del calcio all’ex capitano Rosanero come anche Giovanni Falcone a San Gennaro.

Falcone come San Gennaro, non potevo crederci. E’ la prima volta che mi imbatto in una discussione, fuori dalle mura dei lenzuoli, in cui al Giudice viene consegnato un ruolo di santità.

La santità, anzi il martirio mafioso, come riconoscimento assoluto del valore civile ed umano di uomo, anzi un magistrato, lavoro assai difficile in questa Palermo. Finalmente anche la periferia conservatrice, imbalsamata e malinconica sta cambiando.

Un passaggio evolutivo non indifferente. Miccoli, eroe delle crociate rosanero, applaudito ed osannato nonostante tutto (le notizie sulle sue presunte amicizie erano in circolo sulla stampa da mesi), messo in discussione anche nei quartieri dove le persiane si alzano soltanto di giorno. Qualcosa da far impallidire Charles Darwin.

Il calcio ed i santi. Un connubio indissolubile, atto a pretesto, buono, per escludere un “falso eroe” dal “Regno degli Cieli”.

Amen.

L’antimafia a consumo

La lotta alla mafia è un impegno personale che va preso seriamente, non come momento antimafia a consumo

In questi ultimi mesi, forse addirittura nell’ultimo anno, ho mostrato assoluta “indifferenza” verso le ricorrenze e celebrazioni promosse dal cosiddetto mondo antimafia, quello a consumo.
Chi mi conosce si ricorderà il tempo e le parole che ho dedicato alla diffusione del “sentimento antimafioso”, dell’impegno per la legalità, della ricerca della verità.

Questo però non è un momento autocelebrativo dunque passerò immediatamente alla questione di cui vorrei parlarvi oggi.

Colgo, a malincuore, l’occasione della scomparsa di Agnese Borsellino per togliermi questo peso “enorme” dallo stomaco che, pur essendo abbastanza capiente, non riesce a contenere oltre la rabbia e la delusione che provo.

Questa nota era indirizzata esclusivamente ai blogger di questo sito (fascioemartello), poi però ho pensato che sarebbe stato corretto renderla pubblica.

Per tanti anni sul nostro blog abbiamo scritto fiumi di parole sull’antimafia, su quanto fosse giusto e consapevole spendersi in favore della legalità. Abbiamo partecipato a decine di manifestazioni ed eventi e non abbiamo MAI e ribadisco MAI nascosto la nostra faccia.

Sono ancora convinto dell’importanza di tutto ciò, nonostante la “fede partecipativa”, com’anche la passione, sia affievolita.

In questi giorni non ho scritto una riga che riguardasse La Torre, Impastato, Falcone, etc etc. Attenzione, non perché me ne fossi dimenticato, volevo che fosse evidente che il nostro sito non trattasse l’argomento.

Non vi nascondo quanto sia stato turbato da questo. Va contro i miei principi, contro la mia volontà contro qualsiasi cosa abbia detto in questi anni. E vi giuro, vorrei avere quella spinta che da sempre, pioggia/caldo/vento, mi e ci portava ad urlare nelle piazze e nei cortei. Vorrei ancora commuovermi per un gesto come l’alzata al cielo dell’agenda rossa, ma non posso.

Ormai è palese quanto il movimentismo antimafia sia sempre più sottobosco di arrivismo e mistificazione, strumento per ottenere qualcosa; che siano finanziamenti, incarichi politici o candidature poco cambia.

I “fedeli”, “i fessi”, vengono usati per alimentare l’immagine di pochi. Per alcuni siamo il marketing perfetto. Numeri da elencare per ottenere qualcosa, teste indossatrici di cappelli e consumatori affamati di merchandising.

Sono stanco di stare al loro gioco, di sacrificare il mio tempo ed i miei sentimenti. Sono stanco di veder morire i buoni propositi in cambio di omaggi personali.

Non è “il fresco profumo di libertà” quello che sento. E’ il continuo olezzo dell’opportunismo e della messinscena.

L’antimafia non può continuare ad essere la mortificazione delle coscienze, non può continuare ad essere parole per l’esercizio dell’ego, non può continuare ad essere consumismo di buoni propositi. Insomma non può continuare ad essere quello che è diventata.

So che scatenerò delle polemiche che mi investiranno pesantemente. Me ne assumo la responsabilità consapevolmente pretendendo però, il rispetto del libero pensiero.

Siamo la gente ed il potere ci temono, ma unn’amu a fare chiu’ pigghiari pu culu.

Scritto per fascioemartello.it il 6 maggio 2013

Letture: “Io per fortuna c’ho la camorra”

“Io per fortuna c’ho la camorra” narra di un mondo a stento registrato dai media che se ne accorgono solo quando ci scappa un morto di troppo

sergio_io per fortuna c'ho la camorraIo, per fortuna c’ho la camorra” è il primo libro di Sergio Nazzaro che leggo. E’ un campano, di Mondragone per la precisione, amante del mare e che conoscevo già nei panni di sagace e pungente autore del “graffio” sulla rivista Left.

Devo dirvi che la sua scrittura mi ha piacevolmente sorpreso. E’ sempre fresca, mai scontata e/o banale come spesso si rischia di essere quando si trattano temi così delicati. Nazzaro non cerca lo stimolo dei sentimenti, è un cronista con il dono dell’arte del racconto che sa suscitare emozioni.

Ha un modo di leggere gli eventi davvero particolare e li descrive utilizzando una tecnica di percezione del tempo e dei fatti quasi da sceneggiatore teatrale.

Non ho dubbi nel dire che “Io, per fortuna c’ho la camorra” sia un vero capolavoro giornalistico che tutti, giornalisti compresi, dovrebbero leggere almeno una volta nella vita.

«Sei uno di cui mi fido e ne abbiamo vista qualcuna insieme, soltanto chi rischia insieme sa cosa significa Questo maledetto lavoro e questa maledetta terra».
ROBERTO SAVIANO

C’è un’altra Italia che vive sul confine tra la provincia di Caserta e Napoli. Posti come Mondragone, Castelvolturno, Arzano, Villa Literno, Aversa, Frattamaggiore. Un mondo a stento registrato dai media che se ne accorgono solo quando ci scappa un morto di troppo. Un mondo fatto di gente che ogni mattina riprende a lottare per la propria dignità senza alcuna garanzia di farcela e un mondo di gente che ha dichiarato guerra al mondo degli altri. E tra questi mondi allignano le storie di Sergio Nazzaro. Un giornalista scomodo che la Camorra e il Sud se li porta appiccicati nello sguardo e nel furore di una prosa barocca e risentita. Nazzaro affonda le mani in una realtà fatta di sfruttamento, dolore, disoccupazione, morte, violenza, sottosviluppo.

Il suo sguardo registra le piccole cose delle grandi tragedie che nessuno vuole vedere. Le storie che nessuno racconta diventano 24 ore in terra di Camorra: un giorno come tanti altri. Rivelandone la tessitura segreta. I legami col resto del mondo. Nazzaro in queste vicende marginali di muratori abusivi, poliziotti mortuari, legionari napoletani, avvocati cocainomani, spacciatori e vedove di morti ammazzati, ci entra con tutte le scarpe. La sua rabbia è una disperata forma di compassione. Un atto di solidarietà e cruda testimonianza scandito con il ritmo serrato del vero romanzo d’azione. Un romanzo duro e bruciante come la vita di tutti i giorni, tra l’Asse mediano e la Domiziana.