Mi sono chiesto tante volte come si faccia a perdere interesse per una di quelle “situazioni” che hanno riempito buona parte della propria esistenza. È vero, tutto finisce, si trasforma, ma non ci fermiamo mai abbastanza per riflettere su quanto cambiamo.
Con Mr. Prandelli l’ultimo grande signore del calcio.
Uno di questi cambiamenti epocali è stata la disaffezione per il calcio; mai avrei pensato di perdere una passione che coltivavo fin da bambino e che vivevo come una dipendenza totalizzante in grado di saturare buona parte della mia giornata prima dell’arrivo delle donne.
Se mi avessero detto un giorno ti sveglierai e Gullit sarà soltanto una figurina stropicciata, non c’avrei creduto, pensando d’essere finito all’interno di un surreale racconto di Dickens. E invece è accaduto sul serio. La passione più forte di una gioventù mediamente vissuta, svanita senza un perché.
Fino a vent’anni ero convinto che non si potesse vivere senza il calcio, quello giocato, la quinta essenza della vita vera. Eppure, vent’anni dopo sono qui a parlarne non provando più alcun sentimento. Ho perso qualsiasi motivazione e interesse per uno sport a cui ho dedicato i miei migliori anni, soprattutto dal punto di vista fisico.
Cosa non mi piace in realtà lo so e senza fare un’operazione nostalgia, quello che si è persa è la magia. Il bello del calcio non è mai stato vedere Cristiano Ronaldo con la maglia di una “big”, ma scoprire il futuro Ronaldo con una maglia ancora troppo larga. Il calcio moderno è la negazione di tutto questo: per gli spettatori e persino per i piccoli Cristiano. Diventare un futuro campione ha lasciato il posto alla possibilità di diventare il prossimo impomatato della pubblicità di un deodorante.
Pierino Fanna con la maglia del Verona.
La magia si è spenta persino per quel tifo appassionato e speranzoso. La bellezza di veder giocare un Napoli pezzente e diventato grande con Maradona, i colpi di testa di Pierino Fanna col Verona, i dribbling di quel pelato di Lombardo, la fantasia di ragazzo di provincia come Baggio, la forza di una roccia come Vierchowod, sono incantesimi dissolti.
Il bello del calcio era lo stadio con gli amici e sperare che un giorno una squadra di “sfigati” arrivasse sui grandi palcoscenici lottando per qualsiasi vittoria al di sopra della sua portata. Oggi questa speranza in Italia appare dissolta, a differenza per esempio della Premier League dove, recentemente, abbiamo avuto la fortuna di veder succedere il miracolo del Leicester e le grandi prestazioni di squadrette di terza serie in F.A. Cup.
Qui, tra mille scandali, la scomparsa del “bandiere”, la morte dei numeri dieci e dopo le iniezioni di calcio a qualsiasi orario, viene a mancare l’emozione che legava a quel pallone. Ecco, forse, sarebbe il momento di tornare a un calcio di periferia, più naturale, meno illuminato, più sporco di uno sporco fatto di terra ed erba e non di pomate per capelli.
Sono un amante disinnamorato e per tali ragioni, per tornare a farmi amare, dovrete toccare le corde della semplicità, della strada, quella che ha legato milioni di sportivi ad un gioco in cui 11 uomini, e adesso anche donne, sfidano altri 11 uomini o donne alla pari, dove le telecamere quindi sono una finestra sul mondo, non la struttura portante di quel mondo.
Ciao Calcio, amico mio.
P.s.
Nelle prossime settimane o forse anni, il Malvagio Pensiero pubblicherà un podcast sui “traditori del pallone” ideato e narrato da Giovanni Scarlata. Non perdetelo qui: https://www.spreaker.com/user/ilmalvagio
È un po’ di tempo che in questo spazio non discutiamo di amicizia e in particolare dell’amicizia politica con la p di Prodi e di predatori, minuscola. Insomma quell’amicizia che uno strizza l’occhio e ci siamo capiti.
In questi giorni ci si è interrogati su cosa volesse Renzi da quest’ultima, si spera, avventura di governo, a cui partecipa dai tempi dell’altro stallo voluto dal secondo Matteo (Salvini), e quali fossero i motivi che hanno spinto un ex premier ad aprire una crisi nel momento storico più buio della Repubblica. In particolar modo ci si è chiesto come intendesse poi risolverla.
Partiamo da un punto fermo e abbastanza scontato: se apri una crisi togliendo i numeri ad una maggioranza di Governo, la prima reazione tra i parlamentari è, emulando un famoso meme che lo riguarda, lo shopping.
Inutile vociare ai quattro venti lo scandalo della compravendita degli onorevoli. È sempre successo e succederà ancora. La gente ha un prezzo e con un paese al collasso il prezzo è salato e addirittura può passare per giusto. Il buying and selling parlamentare infatti (lo sto facendo per i renziani che senza inglesismi fingono di non capire una conversazione), è una pratica notissima, persino giustificabile nel momento in cui le circostanze impongono alla nazione un certo senso di responsabilità. E sulla nozione di responsabilità ognuno può speculare quanto gli pare.
Dunque, cosa spera o sperava di ottenere Renzi con la sua Italia Viva?
Andiamo con ordine. Matteo lo conosciamo, è notorio quanto l’amor proprio spesso prenda il sopravvento su qualsiasi ragionamento alla base della sua azione; è un uomo vittima di sé stesso e della passione per la ribalta. Attenzione, la ribalta non la ribaltabile come un suo predecessore (n.d.r.).
Renzi, fotografato dalla rivista Chi, che porta alla domanda perché?
Il primo elemento evidente di questa storia sembrerebbe la vendetta, consumata in ragione di uno sgarro, che, badate bene, non è rivolto a Conte ma al Movimento 5 Stelle e, in seconda istanza, un tentativo di pubblicizzarsi. In ultimo, la futura nomina del Presidente della Repubblica.
Eliminato Conte con largo anticipo dalla scena infatti, evapora sostanzialmente la possibilità che lo stesso possa, a fine legislatura, costruire un partito dalle ceneri del Movimento. Un anno fuori dai riflettori pesa e peserebbe sul futuro politico di chiunque. Anche di uno che piace come piace Conte.
Diventare Premier e avere i riflettori di una crisi puntati addosso è, storicamente, dal punto di vista personale, una fortuna. Renzi questo, probabilmente, non l’ha mai accettato. Inoltre, una possibile nuova proposta rinvigorita dalla figura forte di Conte, ridurrebbe ancor di più la possibilità che il micro ecosistema associato Bonino-Calenda-Renzi, possa dire la propria al prossimo giro.
Nessuno poi, neppure uno come Cossiga e figuriamoci un uomo delle istituzioni come Mattarella, scioglierebbe in un momento come questo le Camere. Il paese andrebbe in fiamme e solo uno stupido potrebbe, dopo un anno di crisi, di restrizione economica e libertà, fermare la distribuzione di sostegni e risorse in favore della popolazione e delle imprese, per aspettare il voto o le decisioni di un commissario, a ridosso inoltre, del semestre bianco.
Quale idiota farebbe saltare la delicata tenuta sociale?
Renzi dunque, che stupido non è, sapeva bene che l’unico modo per uscire da un stallo, nessuno crede e può ancora credere alla nascita di un Governo 5stelle-Pd-Berlusconi-Europeisti, sarebbe stata e probabilmente sarà, il ritorno dei tecnici o come diciamo tra amici, il governo delle larghe intese e cioè dell’occhio strizzato.
Ecco lo scacco matto. Il famoso governo tecnico, l’ancora di una possibile salvezza. Il modo migliore per fingere di essere opposizione, il bastian contrario costretto dalla necessità. La possibilità di poter dire e fare di tutto dall’interno e poi, come si diceva una volta, agire perché ce lo chiede l’Europa.
Allora cosa succederà presto? Arriverà un contabile della democrazia, anonimo, di quelli senza ambizione (qualche nome è già uscito), che si assumerà il “peso” della responsabilità senza nulla a pretendere, anzi, col vantaggio di poter dire un giorno: “sono stato il Premier del mio paese”.
Crollato Conte, sfumata l’ipotesi di un nuovo polo, lasciati i guai e la ribalta grigia nelle mani di personaggi che non ambiscono, Renzi pensa infine di rientrare in scena, ripulito e forte del ruolo di oppositore. Un grande classico del metodo “renziano” (leggasi Letta, Bersani, Marino, Crocetta).
Alle prossime elezioni, tante solite supercazzole e chissà, magari una bella lista centrista con i reduci di Forza Italia, i combattenti Europeisti, gli Azionisti a sostengo di una coalizione che si costituirà dopo il voto, perché nessuno potrà mai avere una maggioranza assoluta con la legge elettorale vigente, con l’obiettivo di riuscire ad essere determinante sulla scelta del nuovo Presidente della Repubblica.
Anche questo, un film già visto: vi ricordate i 101 che sabotarono l’elezione di Prodi? Do you remember?
In questa fogna, l’unico che brinderà sarà quell’anonimo che porterà a casa un risultato incredibile per la propria vita, come accaduto con altri recenti illustri Premier, entrati nella storia senza un perché e, pensate un po’, ancora grazie all’ego smisurato di Renzi.
Roberta Canu de “la stanza dei libri di Annabel” ha recensito 645.
Sono rimasta piacevolmente stupita e colpita dal flusso di coscienza di questo libro. Un piccolo grande romanzo che ha la forma delicata del diario tenuto per sé ma destinato ad una donna da parte dell’uomo che la ama profondamente. Non si sanno i nomi. Non si sa quasi nulla eppure si sa tutto. Com’è possibile riuscire ad essere perspicaci in questa maniera senza rischiare di annoiare? Con uno stile semplice,intelligente, con una sfilza di climax emotivi discendenti e ascendenti.
L’esposizione dell’anima, quell’io cocente trafitto dai raggi del dolore e dal piacere della conta che riassume la pazienza del cuore, che ancora spera fino alla fine.
6, 4, 5. E si ritorna all’origine,ogni volta, ad ogni passo. Come se con pazzia si riuscisse a riemergere dal profondo, o al contrario a sprofondare. Con fretta, con con amore. I numeri che stavolta hanno corpo e anima, che hanno un cervello proprio,hanno una perfetta coesione tra loro ma al contempo si liberano delle disillusioni e delle regole.
Un libro a mio parere intimo e perfetto. La lucidità va via, lasciando spazio alla luna, alla sua magia, alla sua natura. E c’è un piccolo spazio per la musica, alleata degli amanti che soffrono o che semplicemente non dormono quasi mai.
Un artista che smuove il mondo per una donna che lo sta tormentando. Facilmente leggibile, scorrevole e leggiadro come il volo di una farfalla che respira a tempo di conta numerica, il libro assomiglia a tanti grandi romanzi che hanno fatto la storia della letteratura,con l’originalità suadente e concreta, vera. Sono realmente stupita, perché raramente leggo libri così ben scritti e ben strutturati. La poetica, la dolce sofferenza, l’inferno di questo amore che non c’è ma è sempre presente. Una colossale tortura.
6, 4, 5. E l’amore batte i suoi colpi. E si rotola, si rigira tra le lenzuola fredde d’assenza.
645 non è un romanzo, non è un racconto né un saggio. E’ una di quelle storie che, pur senza una trama particolare e dei personaggi precisi, racconta molte cose. E come ci riesce lo scrittore, senza un intreccio, a raccontarci la propria esperienza? Attraverso il flusso di coscienza, come faceva James Joyce.
Vi posto qui la recensione di 645 proposta da Epifanio Nicosia
645 Costellazioni… in rotta di collisione, direi.
Carmelo è un fiume in piena e descrive, da blogger, un misto di sentimenti, rabbia, dolore, speranza, tipici di chi soffre in e per amore.
Disordinatamente interpreta le voci che s’odono quando si tocca il fondo e s’intravede ora la via d’uscita ora il pantano che ti tira ancora più giù. Parla direttamente dalla bocca dell’anima nel vano tentativo di razionalizzare l’irrazionale, spiegare l’inspiegabile.
Parla con cognizione di causa mostrando di conoscere direttamente l’argomento, o di averlo appreso analizzando situazioni da molto vicino.
Parla, straparla e riprende discorsi che tutti conoscono, cercando un caos calmo difficile da raggiungere. Chi non ha mai ricevuto un “favvanculo” in amore, più o meno voluto, più o meno meritato, talvolta anche no.
Parla e scrive, parla e scrive, Carmelo, così come vengono le parole, senza bisogno di alcuna mediazione linguistica…
Uno sfogo, un bisogno… forse un incubo che si trasformerà un giorno, se non è ancora avvenuto, in un sogno, in una maggiore consapevolezza di sé come uomo e come autore.
Ho finito le bozze del mio primo libro (secondo in realtà, primo da solo). Sarà un’autoproduzione e spero vi piacerà. Ulteriori dettagli emergeranno nei prossimi giorni, anche perché al momento non ne ho altri.
Avevo promesso una copertina; eccola qui. Stiamo definendo le ultime cose e sapremo una data di uscita certa (spero magari entro il 14 giugno)
Nel frattempo voglio ringraziare tutte le persone che mi stanno aiutando a capirci qualcosa di più.
Attipo: Fra Fra, Claudia Scavone, Francesca Ferraro, Alessandro Pala Griesche (che sta aspettando la bozza) e Edo (che ancora non ne sa niente)
<<L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione>>
L’articolo 1 della nostra costituzione è la perfetta fotografia di ciò che ogni Paese libero dovrebbe essere; costruito sul lavoro e governato dal popolo.
Le crisi, le emergenze, la globalizzazione spietata, l’indifferenza ci portano spesso lontano dai principi cardine che guidano questa Nazione dal 1946, gli stessi che consentono l’esercizio di una vita libera, democratica, serena.
Il mio pensiero è rivolto chiaramente ai quanti in questi mesi hanno perso la propria autonomia a causa della perdita del lavoro, ai tanti che quel lavoro non ce l’avevano e ancora, ai tanti che quel lavoro lo auspicano da sempre per vivere la propria libertà. La mancanza di lavoro è la più grande schiavitù di questo tempo; è emarginazione, è umiliazione, è privazione della dignità personale e molto spesso familiare.
Il lavoro è il vero collante di una società!
Dimenticare il lavoro in ragione di una qualsiasi altra priorità, è un male per la salute della nostra democrazia, delle nostre istituzioni, della nostra amata Repubblica Italiana.
Millenovecentosessantatre, veniva ucciso un uomo, brutalmente; sapeva dire alla sua gente – “se non siamo in grado di porre fine alle differenze, alla fine non possiamo aiutare a rendere il mondo sicuro di tollerare le diversità” – quell’uomo, quel politico, si chiamava John Fitzgerald Kennedy, che il 29 maggio avrebbe potuto compiere 103 anni e senza il 1963, forse, anche due mandati da Presidente degli Stati Uniti e ancora, probabilmente, cambiato la storia del suo Paese.
“Lasciatemi, non riesco a respirare…” sono le ultime parole di George Floyd (27 maggio 2020), a cui hanno tolto la vita allo stesso modo in cui la tolsero a quell’uomo che voleva fare della diversità un valore. George, come John che non aveva altra colpa se non quella di trovarsi davanti ad un altro uomo che ha dimenticato di ascoltare.
I Can’t breath. L’asfissia è una condizione di scarsità o assenza d’ossigeno; l’asfissia da schiacciamento si verifica quando un soggetto è bloccato sotto un peso o una forza tale da impedire la normale respirazione. Non bisogna essere uno scienziato per comprendere che il prolungarsi di questa situazione ha un unico esito possibile: la morte.
George Floyd è stato per svariati minuti con il ginocchio dell’agente Derek Chauvin sul collo mentre era steso a terra al termine di una colluttazione; era ammanettato ed aveva quella che viene definita “fame d’aria”, tipica nei casi di asfissia. Floyd supplicava di smetterla, perché non riusciva a respirare e pregava di non essere ucciso, di essere aiutato.
George è morto sull’asfalto, ucciso da un uomo incapace di sentire la colpa, di gestire la violenza e persino la folla che nel frattempo, accalcata, gli urlava contro di smetterla. Un uomo anche lui, che macchiava così quel distintivo portato sul petto e che richiama ad altre parole, ad altri doveri: “proteggere e servire”.
Protegge e servire, un compito disatteso, violato e umiliato. E se non bastasse questo, a far di più orrore, è stato leggere che George non sarebbe stato ucciso dall’azione cieca della violenza, piuttosto. invece, da un incidente medico (dichiarazione della polizia del 27 maggio 2020).
George Floyd non è stato ucciso, è stato vittima di un incidente, come quando cadi dalle scale e batti la testa accidentalmente.
Ma quanti incidenti dobbiamo ancora sopportare?Per quanti altri anni ancora il colore della pelle rappresenterà un incidente della natura in grado di farti morire?
L’America e noi tutti, piangiamo un uomo che ha avuto la sfortuna di avere la pelle del colore dell’asfalto, lo stesso sui cui è morto come un’ombra appiattita.
Da Minneapolis a New York, passando per Denver, le persone scendono in piazza al grido di “I CAN’T BREATH”(non riesco a respirare n.d.r.) e tornano le tensioni che non vedevamo da un tempo, le stesse che John voleva fermare.
Alla Casa Bianca però, non c’è il sostituto di John, ma uno che definisce le proteste, opera di teppisti.
Corsi e ricorsi.
Siamo potenzialmente di fronte ad un nuovo caso Rodney King? Anche allora, una morte per incidente da uomo, causò la rivolta (Los Angeles 1992) e 30 anni dopo la situazione appare persino peggiorata.
È tempo che gli Stati Uniti, terra di libertà e di opportunità, guardino dentro i recessi bui della loro anima; la stessa che ritiene accettabile che esistano movimenti suprematisti, che si guardi ancora al bianco e al nero, che permetta ad un uomo di legge di andare in giro con un berretto con su scritto “Make whites great again”. E ancora, che permetta al suo Presidente di costruire muri.
JFK è morto sognando un paese più equo, più giusto, più uguale, ed oggi, giorno del suo compleanno, l’unico augurio che possiamo farci è che il suo sogno diventi realtà.
Ragionamenti sul domani, il ritorno delle seconde case. Finita l’emergenza covid-19 succederanno molte cose, tra queste, arriverà l’estate e riemergeranno vecchie abitudini. In questo momento pensare al futuro sembra lontano, difficile, ma torneremo ad una forma di normalità e abbiamo l’obbligo di immaginare cosa accadrà. La prima tappa di questo percorso, a mio avviso, sarà la necessità di riconquistare la serenità, la libertà e alcune forme di “svago” dimenticate. Quelli come me, assaporano ancora le estati felici passate nei paesi, nelle campagne, nelle piccole case al mare e legano i propri bisogni di libertà, alla normalità di quelle vacanze, di quei ritmi, di quello stile di relax. Dopo questa esperienza di clausura forzata, causa di stress, molti di noi torneranno mentalmente e fisicamente a voler riassaporare quelle estati lì (anche perché mancheranno risorse e volontà per altro tipo di vacanze). Ai Sindaci, agli amministratori, associazioni dei tanti luoghi un tempo meta di turisti da seconda casa, penso in particolare alle Madonie, auguro di mettersi in moto sin da ora per riuscire ad offrire al più presto servizi (es. connessioni internet pubbliche, servizi navetta), attività, parcheggi, biblioteche, aree verdi, piste ciclabili, aree giochi, ma anche, se possibile, finanziamenti per ristrutturazioni private, incentivi, e quant’altro per permettere loro un felice ritorno nei paesi d’origine e sfruttare al meglio un’occasione irripetibile per il rilancio dell’economia di tanti borghi dimenticati
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