Antoci e la questione dei Nebrodi

Antoci e la questione dei Nebrodi

Domani a Sant’Agata di Militello al fianco di Giuseppe Antoci e della Polizia di Stato, contro la mafia con le persone perbene

Il Parco dei Nebrodi rappresenta l’area verde protetta più grande dell’intero territorio siciliano e ricade su tre delle nove province della Regione: Messina Enna e Catania per un totale di 86 mila ettari e in 24 comuni. Appare subito chiaro che in Sicilia, qualcosa di “grande e protetto”, non possa non essere oggetto di attenzione dei più svariati settori della criminalità organizzata, che ricavano centinaia di milioni di euro, creando anche un clima di connivenze e potere, per il quale si può addirittura arrivare a sparare in una notte del 2016.

Ed è sulle tracce di questi affari che si è messo Giuseppe Antoci, presidente del Parco dal 2013, col supporto dell’Amministrazione Regionale e di qualche amministratore del territorio, il Sindaco di Troina (En) Fabio Venezia su tutti. Da allora, su quella carica, si è creato un clima a dir poco teso, sfociato nell’agguato di mercoledì 18 maggio.

La posta in gioco, al momento, riguarderebbe la gestione allegra, definita dagli operatori un “patto sociale”, che consentirebbe l’utilizzo per pascolo, a canoni irrisori, dei terreni demaniali. Nasce così il “brand” “mafia dei pascoli” o “dei terreni agricoli”, interessato principalmente alla gestione di contributi europei, per il valore, dicono, di quasi un miliardo di euro. Almeno così ritengono il Governatore Crocetta e lo stesso presidente Antoci.

Un “affare milionario” osteggiato dal Parco dei Nebrodi attraverso anche un protocollo di legalità firmato con la Prefettura di Messina, che prevede, tra le altre cose, la richiesta di certificazione antimafia e dei carichi pendenti anche per chi intende stipulare o rinnovare contratti di piccolo importo, e comunque ben al di sotto della soglia prevista per legge. Un documento che non sarebbe stato gradito dai mafiosi locali, che avrebbero dunque organizzato il tradizionale “rituale” di minacce che poi, con progressiva evoluzione di violenza, sono arrivate ai colpi di fucile di mercoledì scorso.

Per capire l’importanza di questo atto, si può tenere conto che, ad esempio, per raccogliere 100 mila euro di pizzo occorre taglieggiare almeno 20 attività imprenditoriali sul territorio, 5 mila euro all’anno ciascuno dicono le cronache, con tutti i rischi che ne conseguono: denunce, intercettazioni, testimoni, etc, mentre, servendosi di un terreno indebitamente gestito, a fronte di una spesa di 30 euro ad ettaro, chi ottiene la concessione gode, di un contributo di circa 3 mila euro per ettaro. Insomma un bel business, tranquillo, ai danni della comunità.

Il Presidente Antoci, coperto da solidarietà istituzionale, a cui anche Possibile si è affiancata, si è dichiarato pronto ad andare avanti, con più forza e decisione di adesso. Per questo domani, sabato 21 maggio, il comune di Sant’Agata di Militello (Me), la Fai Antiracket e tutti i sindaci del comprensorio nebroideo, manifesteranno in solidarietà dello stesso Giuseppe Antoci, di Daniele Manganaro, dirigente del Commissariato di Sant’Agata che si è trovato coinvolto nella sparatoria, nonché di tutta la Polizia di Stato.

Pubblicato su Possibile.com il 20/maggio/2016

30 anni di via Pipitone Federico

30 anni fa la strage di via Pipitone Federico uccideva il Magistrato Rocco Chinnici ma non la caparbietà del pool antimafia di Palermo

Rocco Chinnici e Giovanni Falcone

Il pool antimafia fu ed è ancora il centro pilota giudiziario della lotta alla mafia, considerato un esempio per le altre Magistrature d’Italia ed un modello internazionale efficace di contrasto alla criminalità organizzata.

Un’ idea che ha rivoluzionato la lotta allo strapotere mafioso e che fu principalmente il frutto delle capacità intuitive del magistrato Rocco Chinnici, palermitano della provincia.

In quella che viene ricordata come la stagione degli anni di piombo, il sangue sulle strade del capoluogo portava Palermo ad essere paragonata alla Beirut libanese. Nato a Misilmeri, Chinnici infatti, venne trucidato barbaramente nel 1983 in via Pipitone Federico a Palermo, da autobomba piazzata sotto il portone di casa.

Rocco Chinnici si laureò in Giurisprudenza nel 1947 ed entrò in magistratura cinque anni dopo con destinazione Trapani. Fu pretore di Partanna per dodici anni, luogo simbolo, che diede i natali a Rita Atria, altra vittima della ferocia della mafia qualche decennio dopo. Venne trasferito nel ’66 nella sua Palermo come Giudice Istruttore del Tribunale.

Alla fine del 1979, tornato da un periodo di Cassazione, passò alla guida dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, dove organizzò, in modo simile a quanto avvenuto a Torino contro le Brigate Rosse, un “pool”; un gruppo di magistrati e funzionari delle forze dell’ordine dedicate in esclusiva ai reati di mafia.

Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Boris Giuliano, Antonino Cassarà sono alcuni degli uomini che composero il team che scoperchiò l’alone di mistero che fino ad allora aveva coperto gli affari di “Costa Nostra”. Iniziò qui la lunga stagione delle stragi che proseguirono sino a quelle di Capaci e via D’Amelio e che oggi sono oggetto di una presunta trattativa tra Stato e Mafia.

Boom!

Chissà se arrivò a sentire il botto quella mattina del 29 luglio del 1983 uscendo dal portone di casa.

50 kg di tritolo, a soli 58 anni, lo strapparono alla vita, alla famiglia ed alla città di Palermo. Con lui anche il Maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato. Con loro perse la vita anche il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi.

Scritto per fascioemartello.it il 29 Luglio 2013

L’antimafia a consumo

La lotta alla mafia è un impegno personale che va preso seriamente, non come momento antimafia a consumo

In questi ultimi mesi, forse addirittura nell’ultimo anno, ho mostrato assoluta “indifferenza” verso le ricorrenze e celebrazioni promosse dal cosiddetto mondo antimafia, quello a consumo.
Chi mi conosce si ricorderà il tempo e le parole che ho dedicato alla diffusione del “sentimento antimafioso”, dell’impegno per la legalità, della ricerca della verità.

Questo però non è un momento autocelebrativo dunque passerò immediatamente alla questione di cui vorrei parlarvi oggi.

Colgo, a malincuore, l’occasione della scomparsa di Agnese Borsellino per togliermi questo peso “enorme” dallo stomaco che, pur essendo abbastanza capiente, non riesce a contenere oltre la rabbia e la delusione che provo.

Questa nota era indirizzata esclusivamente ai blogger di questo sito (fascioemartello), poi però ho pensato che sarebbe stato corretto renderla pubblica.

Per tanti anni sul nostro blog abbiamo scritto fiumi di parole sull’antimafia, su quanto fosse giusto e consapevole spendersi in favore della legalità. Abbiamo partecipato a decine di manifestazioni ed eventi e non abbiamo MAI e ribadisco MAI nascosto la nostra faccia.

Sono ancora convinto dell’importanza di tutto ciò, nonostante la “fede partecipativa”, com’anche la passione, sia affievolita.

In questi giorni non ho scritto una riga che riguardasse La Torre, Impastato, Falcone, etc etc. Attenzione, non perché me ne fossi dimenticato, volevo che fosse evidente che il nostro sito non trattasse l’argomento.

Non vi nascondo quanto sia stato turbato da questo. Va contro i miei principi, contro la mia volontà contro qualsiasi cosa abbia detto in questi anni. E vi giuro, vorrei avere quella spinta che da sempre, pioggia/caldo/vento, mi e ci portava ad urlare nelle piazze e nei cortei. Vorrei ancora commuovermi per un gesto come l’alzata al cielo dell’agenda rossa, ma non posso.

Ormai è palese quanto il movimentismo antimafia sia sempre più sottobosco di arrivismo e mistificazione, strumento per ottenere qualcosa; che siano finanziamenti, incarichi politici o candidature poco cambia.

I “fedeli”, “i fessi”, vengono usati per alimentare l’immagine di pochi. Per alcuni siamo il marketing perfetto. Numeri da elencare per ottenere qualcosa, teste indossatrici di cappelli e consumatori affamati di merchandising.

Sono stanco di stare al loro gioco, di sacrificare il mio tempo ed i miei sentimenti. Sono stanco di veder morire i buoni propositi in cambio di omaggi personali.

Non è “il fresco profumo di libertà” quello che sento. E’ il continuo olezzo dell’opportunismo e della messinscena.

L’antimafia non può continuare ad essere la mortificazione delle coscienze, non può continuare ad essere parole per l’esercizio dell’ego, non può continuare ad essere consumismo di buoni propositi. Insomma non può continuare ad essere quello che è diventata.

So che scatenerò delle polemiche che mi investiranno pesantemente. Me ne assumo la responsabilità consapevolmente pretendendo però, il rispetto del libero pensiero.

Siamo la gente ed il potere ci temono, ma unn’amu a fare chiu’ pigghiari pu culu.

Scritto per fascioemartello.it il 6 maggio 2013

L’antimafia consumista

Agnese Borsellino e l'antimafia comunista

In questi ultimi mesi, forse addirittura nell’ultimo anno, avrete notato la mia assoluta “indifferenza” alle ricorrenze e celebrazioni del cosiddetto “mondo antimafia”.

Agnese Borsellino e l'antimafia comunistaChi mi conosce, anche se ne dubito visto che la memoria umana ha una durata inferiore alla carica di un melafonino di vecchia generazione, si ricorderà il tempo che ho speso nel perseguire l’obiettivo della diffusione del sentimento antimafioso, dell’impegno per la legalità, della ricerca della verità, etc etc etc… Ovviamente non volendo fare di questo post un momento autocelebrativo non scrivo altro in merito.

Voglio però cogliere l’occasione della scomparsa di Agnese Borsellino per togliermi questo peso “enorme” dallo stomaco, che pur essendo abbastanza capiente, non riesce più a contenere la rabbia e la delusione che provo.

Questa inizialmente era una nota privata ed indirizzata esclusivamente ai blogger di questo sito, ho deciso però che sarebbe stato corretto e giusto trasmetterla a tutti.

Per tanti anni sul nostro blog abbiamo scritto fiumi di parole sull’antimafia, su quanto fosse giusto e bello spendersi in favore della legalità e la diffusione della stessa. Abbiamo partecipato a decine di manifestazioni e di eventi e non abbiamo MAI e ribadisco MAI nascosto la nostra faccia.
Premesso che sono ancora formalmente convinto di quanto sia importante tutto ciò, oggi la mia “fede” si è fortemente incrinata e la passione lentamente affievolita.

Sicuramente avrete notato che in questi giorni, e non casualmente, non ho personalmente scritto una riga che riguardasse La Torre, Impastato o chicchessia, non perché me ne sia dimenticato, ma con l’intento che fosse evidente tutto ciò. Insomma l’ho fatto di proposito.

Non vi nascondo che la cosa mi turba parecchio, va contro i miei principi, contro la mia volontà. Vorrei avere ancora la spinta che per anni, pioggia/caldo/vento, mi portava nelle piazze e nei cortei di questa città.
Vorrei ancora commuovermi per un gesto come l’alzata al cielo dell’agenda rossa, ma non posso.

Ormai è palese quanto il movimentismo antimafia sia sempre più un sottobosco fatto di arrivismo e mistificazione, sia strumento per ottenere qualcosa; che siano finanziamenti, incarichi politici o candidature poco importa.

“fedeli” vengono usati per alimentare l’immagine di pochi, siamo il loro merchandising, siamo numeri da elencare per ottenere qualcosa, siamo teste indossatrici di cappelli.
Sinceramente mi sono stancato di stare al loro gioco, di sacrificare il mio tempo ed i miei sentimenti, per poi veder di volta in volta morire i buoni propositi. Non è “il fresco profumo di libertà” quello che sento, ma il continuo olezzo dell’opportunismo e della messinscena.

L’antimafia non può continuare ad essere la mortificazione delle coscienze, non può continuare ad essere parole per l’esercizio dell’ego, non può continuare ad essere consumismo di buoni propositi. Insomma non può continuare ad essere quello che è diventata.

So che con questo post scatenerò delle polemiche sulla mia persona, me ne assumo tutta la responsabilità consapevolmente, pretendo però il rispetto del libero pensiero.

Siamo la gente ed il potere ci temono, ma unn’amu a fare chiu’ pigghiari pu culu.

scritto per Fascioemartello.it

L’antimafia non rende liberi i miserabili

carmelo impastato miserabili

Alcuni miserabili sospettano una mia mancanza di vocazione “antimafia”. Beh questa è la mia risposta.

Questa mattina uno sito di presunta sinistra ha dubitato del mio pensiero antimafia e del rispetto che nutro verso le vittime della mafia. Non volendo citarne la fonte, che ritengo più scadente delle finestre popup di un qualsiasi sito di terza categoria, inserisco e dedico un piccolo aforisma:

La mafia rende poveri. L’antimafia dei salotti rende miseri.

A futura memoria.