Il coccodrillo

questione di ciccioni

Trovare un modo per parlare di me è stato un impegno, non riesco a dire qualcosa che mi riguarda senza trovarlo banale, noioso, ripetitivo. Non mi piace per queste ragioni “la classica” biografia da sito web, anche perché non sono una celebrità e non merito una copertina di qualche specie.

Neppure, vilmente, ho finto di farmi raccontare da qualcun altro, per cui ho scritto questa pagina, utilizzando l’unica tecnica di narrazione in cui riesco (passatemi l’idea), la satira.

Questa pagina si può considerare ufficialmente una biografia, allo stesso tempo un coccodrillo e volendo essere anche ottimisti, aggiungerei pure, un testamento ai lettori che verranno, se verranno. In questo modo voglio facilitare il lavoro, togliendo dall’imbarazzo, un’eventuale postuma attività di qualche amico. A fine pagina troverete la data di aggiornamento, questo perché, nel tempo, farò delle modifiche ed è giusto che si sappiano, appunto come un testamento, le ultime modifiche.

Carmelo Di Gesaro è stata una persona fondamentalmente sola e in conflitto con il sé; lascia tre cani, una casa ancora da pagare, una scrivania completa di computer, un cellulare dual sim e un “brociolone” nel frigo e tre hashtag riusciti male.

Questo, se possibile, gradirei diventasse il mio epitaffio ufficiale.

Tante volte ho immaginato come sarebbe stato il giorno della mia morte, il modo in cui mi sarei congedato e, principalmente, se fossi riuscito a cancellare tutte le cronologie di navigazione. In preda all’ansia per questa ultima affermazione, sapendo anche che questa è l’ultima occasione, ho effettuato lo sforzo di trovare le parole giuste per salutare tutti quelli che mi conoscevano.

Sono sempre stato convinto che sarei morto da anziano, come un eroe, ma di quelli depressi, che vivono in costante rimpianto per il passato sfuggito, per le occasioni mancate e per le parole non dette. In realtà so bene di essere morto vestito da Batman, scivolando sulla cacca di uno dei miei cani, subito dopo essere rientrato da una interminabile fila alla posta per il ritiro della pensione (di vecchiaia!).

Ho passato quasi tutta la mia esistenza stravaccato sul divano, saltellando tra le serie del momento e finendo costantemente su un canale privato con un episodio di Topazio. In qualche modo provavo a terminare questa esistenza come una qualsiasi nonna della mia generazione, seduto e con l’ultimo sorriso fissato e basito sullo sguardo vuoto di Grecia Colmenares, alias Andrea Celeste, alias appunto Topazio. Insomma, volevo andarmene con una certa coerenza con il vissuto, con la consapevolezza di essermi goduto fino alla fine il canone che ci avevano imposto sulla bolletta della corrente elettrica.

Non mi ripresi mai da quel sopruso anzi, un da quel furto, una intollerabile intromissione sulla libertà di scelta; la Rai non la volevo né guardare né pagare e non potendomi difendere, lottavo consumando televisione fino all’ultimo secondo.

C’è stato un tempo in cui nutrivo anche delle speranze che però ho prontamente perso verso i tredici anni, quando realizzati che il mio piano per diventare una persona importante, non avrebbe funzionato; difficilmente sarai diventato un Astrotexanomultimiliardario (cit).

Da quell’età in poi, lentamente, mi rassegnai a vivere una vita da uomo normale; diploma, lavoro, licenziamenti in tronco, cassa integrazione, amori finiti a puttane, la convinzione di essere un pezzo di merda, la certezza di avere a che fare con un destino che ti ha taggato nel premio “testa di cazzo del secolo”.

Nel frattempo accusavo i classici sintomi da introverso; la leggera tendenza al bipolarismo, un pizzico d’isteria, la perenne pubalgia, una discreta malinconia con una indubbia fantasia. Verso i venticinque anni avevo già un profilo Facebook, uno smartphone, un blog, un altro blog sotto pseudonimo, un profilo falso dello pseudonimo, una sim ufficiale installata su un telefono tarocco ed una andatura falsa adatta ad un profilo da “tono”.

Insomma conducevo una vita comune, di quelle che la confronti con l’esistenza degli amici del bar e guardandoti indietro, tutto sommato, potevi sentivi realizzato per almeno 23 minuti di fila. Poi, finito il caffè, ti rendevi conto che l’unica soddisfazione reale ti arrivava dalla tv generalista, le telenovelas e i vips di Maurizio Costanzo.

Qualche tempo dopo, sempre grazie alla televisione, imparai l’uso del telecomando, riuscendo a ripercorrere i canali a ritroso e fermandomi di tanto in tanto sul terzo canale di Stato. Rai Tre fu una rivelazione, ogni giorno Santoro e Co.(mpagni) ci raccontavano che di questo passo saremmo morti tutti berlusconiani.

Ormai ne ero convinto, sarei crepato berlusconiano e con me tutti gli altri. La nostra generazione era spacciata e questo mi faceva guardare di sbieco tutti i programmi di Mediaset. Sospettavo di chiunque, persino di Raimondo Vianello (Cazzo nascondeva sotto le lenzuola?!?).

Viaggiavo rassegnato all’idea ci avessero definitivamente conquistato, lavato il cervello, spogliato di qualsiasi inibizione, moralità, senso del pudore, vergogna e senso della legalità. Provai per anni ad abituarmi a questa situazione, non ne vedevo la fine e tentavo di farmela piacere.

Arrivai persino ad abbonarmi alla tv satellitare, ma tutto, insindacabilmente, mi riportava sempre all’incubo che sarei morto proprio mentre partiva lo stacco di canale 5 che annunciava l’ennesima pubblicità (pappa rappa para pa ppa!).

Subito dopo il Tg in edizione normale e l’annunciatrice che in tono annoiato diceva: dopo ore di tranquillità, muriu Carmelo Di Gesaro, era famoso per non essere mai stato famoso.

“Rip. Era bravo, salutava sempre.” (“ma un c’arrispunnievanu mai!”)

Titoli di coda.

Era solo un sogno che si portava la prima giovinezza. Se n’era andata insieme ad una Italia fatta di sorrisi, scandali, mazzette, tette ed omicidi eccellenti.

La nuova fase prevedeva impegni da adulto, così cominciai a lavoricchiare improvvisandomi esperto di qualsiasi lavoro mi venisse offerto. Pensandoci bene, ancora oggi non saprei definire una professione, una professionalità con cui presentarmi. Probabilmente non ne ho mai avuta una. Ho sempre vissuto improvvisando. Anzi, posso sicuramente affermare di essere stato un buon improvvisatore.

Abbandonato, seguivo i giorni lunghi verso il nulla, organizzavo una vita, consapevole che il destino avesse terminato la sua scrittura introducendo un’unica variabile, la politica, che vivevo appieno, in una vita di istanti.

Berlusconi intanto aveva conquistato qualsiasi cosa, anche la tv di Stato. Per noi telespettatori impegnati, una vera tragedia.

Poi però, dal nulla, Urbano Cairo ci regalava LA 7. Eravamo emozionati e ci sintonizzavamo tutti i giorni sul settimo canale, con la goduria di non aver pressato i tasti da 1 a 6, immaginando di aver potuto finalmente fare un torto al padre-padrone delle comunicazioni.

Non avevamo però calcolato una sventura ancora maggiore; proprio durante un’edizione speciale di Mentana, capii che sarei potuto morire renziano. Vi lascio immaginare la reazione; ero sconvolto, ossessionato dai nei dai tempi del sosia di Bruno Vespa. Dovunque andassi, qualunque cosa facessi, sentivo sempre più vicino il momento in cui il “renzismo” avrebbe scoperchiato una vita che conducevo abilmente dietro una perfetta immagine da intellettuale di Sinistra.

Il partito che frequentavo era ormai tutto un pollice alzato alla “Fonzie”, un “hey” alla maniera t’abbordo, tu ci stai e poi ti rifiuto. Dov’erano finite le frasi fatte di Ferrandelli, i galleggiamenti di Cracolici, le d di Crocetta, gli Intillimani, la salsiccia a due euro, il vino in pietra e i gazebo? Tutti canciabbanniera.

Pensavo ancora una volta “che vita di merda”, che ho fatto per meritarmela? Non rinnovai più neppure la tessera, ormai ero un indipendente e la colpa era di Renzi. Avevo quindi perso pure la politica.

Ero di nuovo perso.

Un nuovo incubo, passeggiavo e mi vedevo riflesso sulle vetrine; portavo il tacco 12, una camicia bianca, le maniche arrotolate, nel taschino una banconota da 10, una da 20 ed una da cinquanta. Nella mia testa ronzavano indistintamente quelle due parole: signori e miei. In qualche modo, pretendevano d’essere ascoltate. Volevano diventassi uno di loro. Inconsapevolmente, me lo sentivo.

La paranoia sopraffaceva i miei pensieri.

Segnavo i giorni sulle pareti e quando Matteo non appariva in tv mettevo una tacca sospirando felice. Sapevo però che, prima o poi, una sputacchiata renziana l’averi presa. Insomma ero nel vortice del vabenismo all’italiana; conducevo una vita banale, disoccupato e senza neppure gli 80 euro che il partito di Renzi aveva distribuito alle “masse”. Una vita di merda proprio.

Nel frattempo, come se non bastasse, una notizia piombava sulle nostre e sulla mia testa; l’organizzazione mondiale della sanità, che evidentemente in quel periodo non c’aveva un cazzo di meglio da fare, dichiarava l’arrostuta di sasizza pericolosa per la salute!

Minchia oh!

In quei giorni per sfuggire al renzismo ero persino diventato un lettore del “Giornale”, ma mai, giuro mai, avrei pensato che sarei potuto morire per un attacco di salsiccia (escluso quello alle coronarie).

Nonostante la fissazione di mia madre per la pizzaiola, che della salsiccia è la variante renziana, io amo la salsiccia. Mi avevano tolto tutto, il lavoro, i soldi, il partito, ma a sasizza no! Non lo potevo accettare.

Ma come si dice? Uomo avvisato, mezzo salvato. E invece, nonostante i martellanti avvisi di Bruno Vespa, “cu mancia sasizza muore”, accettai un invito per una pasquetta per tentare il suicidio. Volevo essere ricordato almeno per essere stato il primo caso di suicidio da salsiccia assistito.

Non funzionò, il mio trapasso venne rimandato.

A quel punto fui capace di superare tutto; superai Salvini, i siciliani che votano Salvini, Salvini e i Cinque Stelle, i Cinque Stelle e il Pd, il coronavirus, Zingaretti col coronavirus, restare chiusi a casa, le video chiamate, le video chiamate con i miei familiari, le video chiamate dei miei familiari + amici, le video chiamate dei miei familiari + amici e i loro amici.

Insomma, ero diventato invincibile.

Almeno fino ad oggi.

Aggiornato venerdì 17 aprile 2020 in piena pandemia da covid19

10 commenti su “Il coccodrillo”

      • Caro carmeluccio, buonasera. Devo dire che potenzialmente potresti essere una rivelazione al premio strega, per non dire che potresti essere un parallelo personaggio come il ragazzino di “la mafia uccide solo d’estate”. Bravo continua così, fra un paio d’anni sarai sceneggiatore.
        Un tuo sostenitore.

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